Page 31 - Prodotto interno mafia
P. 31
Con l’urbanizzazione la mafia si spostò nelle città dove mise
le mani sull’edilizia e successivamente entrò nel sistema della
vendita al dettaglio prendendo il controllo dei mercati
ortofrutticoli, del pesce e della carne. Dopo il boom della mafia
degli appalti, nella seconda metà degli anni Settanta, sfruttando il
canale già attivo del contrabbando internazionale e la presenza di
siciliani legati a Cosa nostra nel Nord America, l’organizzazione
entrò nel business della droga. La Sicilia arrivò in poco tempo a
conquistare l’esclusiva dell’esportazione di eroina verso gli Stati
Uniti: la sostanza veniva approvvigionata dal Triangolo d’oro,
un’area montuosa tra Birmania, Laos e Thailandia, e raffinata a
Palermo in laboratori clandestini dove lavoravano esperti chimici
francesi, reclutati grazie ai collegamenti con la criminalità
marsigliese.
È stato il traffico di droga il volano per
l’internazionalizzazione delle mafie? E questo ha rappresentato
un vantaggio per le organizzazioni, una sorta di prova generale,
quando è arrivata la globalizzazione?
L’internazionalizzazione delle mafie procede parallelamente
alle migrazioni. Nel Novecento milioni di italiani sono emigrati
negli Stati Uniti, in America Latina, Canada, Australia,
esportando usi e tradizioni del nostro paese, mafia compresa. Un
fenomeno che continua nel xxi secolo con la ’ndrangheta che
clona i «locali» calabresi all’estero e la mafia che ha le sue basi
in Venezuela, Brasile e Stati Uniti. In questo panorama si innesta
il traffico di stupefacenti che aumenta di molto le potenzialità
economiche dell’organizzazione. Con il traffico di cocaina – che
dalla metà degli anni Ottanta si sostituisce a quello di eroina –
arrivano i grandi soldi che da un lato rendono piú forti i singoli
mafiosi, ma dall’altro rappresentano un elemento disgregante per
Cosa nostra.
In che senso?
28