Page 76 - L'onorata società
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Se questi sono gli inamovibili, c'è una nicchia in Italia dove sembra di
          essere  circondati  da  mummie:  le  banche  popolari  e  quelle  di  credito
          cooperativo.  Per  carità,  non  è  detto  che  la  straordinaria  longevità  delle
          cariche  di  vertice  si  traduca  in  fattore  negativo  per  l'operatività  degli

          istituti. Anzi, nel bel mezzo della "tempesta perfetta" del 2008, scatenata
          dai mutui subprime, molti osservatori hanno indicato nelle popolari e nelle
          cooperative  un  modello  al  quale  ispirarsi  per  ridare  centralità  al  cliente.
          Fatto  sta  che  nell'aprile  2009  sono  state  necessarie  molte  polemiche  e

          animate  discussioni  per  rimuovere  il  presidente  di  Banca  Etruria,  Elio
          Faralli. Un ottantasettenne che era nel cda dell'istituto da 35 anni (prima
          come consigliere, poi dal 1977 per due anni come vicepresidente e infine
          come  numero  uno)  e  che  contava  di  rimanere  sul  ponte  di  comando

          almeno  fino  al  2011.  Al  suo  posto,  adesso,  c'è  il  "giovane"  Giuseppe
          Fornasari, 70 anni.
              Difficile a credersi. Eppure è tutto vero. Com'è vero il comunicato con
          cui  l'Ania  ha  reagito  all'indagine  dell'Antitrust  che  accendeva  i  fari  sul

          guazzabuglio  che  si  è  venuto  a  creare  nel  mondo  della  finanza:
          «Nell'attuale crisi le assicurazioni italiane si stanno dimostrando tra le più
          solide  al  mondo.  Non  ci  pare  dunque  condivisibile  l'analisi  dell'Autorità,
          laddove  individua  negli  assetti  del  mercato  assicurativo  e  finanziario  un

          fattore  di  fragilità».  Se  qualcuno  si  aspettava  un  minimo  di  autocritica,
          eccolo  servito.  Il  ragionamento  di  Fabio  Cerchiai,  simile  a  quello  con  il
          quale l'Abi di Faissola ha difeso in questi ultimi mesi gli istituti di credito, è
          elementare:  perché  mai  dovremmo  rivedere  alcune  dinamiche  interne,

          visto che siamo usciti dalla crisi meglio dei nostri vicini? Come se il danno
          minore riportato in seguito alla crisi dai famigerati titoli tossici fosse merito
          del groviglio di partecipazioni societarie.




                                            La concorrenza può attendere



          La cosa chiara è che gli intrecci societari e personali non fanno per niente
          bene  ai  consumatori.  Il  Cermes-Bocconi  tira  le  conclusioni:  nel  nostro
          sistema  bancario  la  clientela  è  soggetta  a  condizioni  peggiori  rispetto  a

          quella di altri Paesi. Ciò vale sia per le famiglie sia per le imprese. Secondo
          i  ricercatori  dell'università  milanese,  per  misurare  la  concorrenza  nel
          settore gli indicatori più rilevanti sono due: il turnover dei clienti e il peso
          del retail banking,  ovvero  dell'attività  al  dettaglio.  Più  sono  bassi,  più  il

          sistema  è  bloccato.  Ebbene,  in  Italia  solo  l'8  per  cento  delle  famiglie
          cambia banca in un anno e la quota del retail sul Prodotto interno lordo è
          di circa il 2 per cento (4,2 nel Regno Unito, 3,3 in Spagna).
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