Page 138 - L'onorata società
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di Nomura International. Uno che se ne intende, non c'è dubbio. Caio, che
          parallelamente era stato precettato dal primo ministro britannico Gordon
          Brown  per  ricoprire  un  ruolo  di  consulenza  analogo,  nel  marzo  2009  ha
          presentato  al  ministro  Scajola  il  suo  documento.  Titolo: Portare  l'Italia

          verso la leadership europea nella banda larga: considerazioni sulle opzioni
          di politica industriale. Vengono individuati tre scenari con un diverso grado
          di penetrazione e di spesa, da 1,2 a 10 miliardi. E naturalmente si ripassa
          la palla ai politici.

              La  montagna  ha  partorito  il  topolino.  Paolo  Romani,  Pdl,  viceministro
          con  delega  alle  Comunicazioni,  ha  annunciato  un  obiettivo  grandioso:
          internet veloce a tutti entro due anni. Ma ha messo sul piatto il minimo, un
          miliardo  e  471  miliardi.  Risorse  quasi  interamente  pubbliche,  inclusi  188

          milioni  di  finanziamenti  europei.  E  c'è  da  augurarsi  che  vengano
          effettivamente reperite, visto che il contributo atteso dai privati è di soli
          210 milioni. Romani assicura che verrà generato un aumento del Pil di 2
          miliardi.  Speriamo.  In  realtà,  si  tratta  più  che  altro  del  rinnovamento-

          potenziamento  della  vecchia  rete  Telecom.  Un'aggiustatina  urgente  in
          attesa di aprire la fase due: la stesura della rete di nuova generazione in
          fibra ottica per coprire l'intero Paese. Costo previsto, una decina di miliardi.
              Ammesso  che  il  piano  Romani  vada  in  porto,  è  assai  probabile  che

          internet veloce continuerà a essere un sogno. O quanto meno un servizio
          disponibile  a  macchia  di  leopardo.  Indipendentemente  dal  gestore.  Anzi,
          alla faccia delle loro mirabolanti promesse. Nel IX rapporto PiT-Servizi di
          Cittadinanzattiva  viene  sottolineato  che  il  47,7  per  cento  delle  proteste

          degli  utenti  si  riferisce  alla  scarsa  qualità  delle  prestazioni  e  il  42,2  per
          cento all'impossibilità-difficoltà di accesso alla adsl.
              La scelta di Romani, tuttavia, risolve a monte la questione più delicata:
          Telecom,  almeno  per  il  momento,  non  sarà  costretta  a  scorporare  la

          propria rete. Un'ipotesi che viene da lontano. Il 5 settembre 2006, Angelo
          Rovati,  amico  e  consigliere  del  presidente  del  Consiglio  Romano  Prodi,
          invia «29 schifosissime slide», come le definisce oggi, all'allora presidente
          di Telecom Marco Tronchetti Provera. Contengono l'ipotesi di separazione e

          collocamento  sul  mercato  della  rete  telefonica.  Scandalo,  scandalo:  «È
          un'evidente  ingerenza  dello  Stato  nella  libertà  d'impresa»  tuona
          l'opposizione. Rovati è costretto a dimettersi. Passano gli anni e siamo al
          punto  di  partenza.  Nonostante  l'idea  della  separazione  sia  ampiamente

          caldeggiata  da  Corrado  Calabrò,  presidente  dell'Autorità  per  le  garanzie
          nelle comunicazioni.
              Franco  Bernabè,  amministratore  delegato  di  Telecom  (controllata  da
          Mediobanca,  Generali,  Intesa-Sanpaolo  e  Benetton,  cui  si  aggiungono  gli

          spagnoli  di  Telefònica,  soci  e  contemporaneamente  concorrenti  in
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