Page 23 - Mani in alto
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Giovedì 6 luglio 1950
Le stradine strette del centro offrono un po’ di refrigerio nelle calde giornate di
luglio. Al mattino, poi, si può persino godere di una leggera brezza che, di tanto in
tanto, si insinua maliziosa tra la gente e le casse di frutta del mercatino. Le vetrine si
offrono agli sguardi e si lasciano ammirare.
Paolo e Daniele sono fermi davanti a una piccola vetrina. Guardano con interesse la
merce esposta: orologi da polso, qualche anello, un paio di orecchini. La gente che
passa sorride pensando a chissà quale regalo quei due hanno in mente per le loro
fidanzate.
«Adesso io entro e tu aspetti qui fuori senza dare nell’occhio».
«Va bene Paolo stai tranquillo, faccio finta di leggere il giornale».
Paolo si guarda attorno, fa l’occhiolino all’amico, poi varca la porta con decisione.
La bottega è in penombra ed è molto angusta, non ci sono gioielli esposti, sul lato
destro del bancone c’è un piano di lavoro con una lampada accesa. L’orefice, un
uomo tarchiato di mezza età, ha in mano una cassa di orologio maschile da polso e un
monocolo nero nell’occhio sinistro.
«Buongiorno» dice l’orefice alzando lo sguardo dall’orologio smontato.
«Buongiorno, vedo che avete dimestichezza con gli attrezzi del mestiere».
«Be’ certamente, ho cominciato da cinno in una bottega di via Zamboni, prima della
guerra» risponde l’orefice asciugandosi la fronte con il fazzoletto. Quando in negozio
entra uno sconosciuto, il timore che possa essere un rapinatore fa divampare il caldo
sul volto, che si ricopre di mille gocce di sudore.
Daniele là fuori continua a far finta di leggere il giornale, se ne sta accostato al
muro con una gamba piegata e il piede appoggiato alla parete.
«Vorrei farvi vedere questo braccialetto d’oro» dice Paolo allungando il braccio
destro.
«Lo volete vendere?»
«No, è un ricordo di famiglia, lo voglio tenere sempre con me e ci vorrei incidere
una frase… è possibile?»
«Una frase? Soccia una frase, bisogna vedere com’è lunga. Non c’è mica tanto
posto qui».
«Sarebbero soltanto tre parole, tre paroline… ecco le ho scritte su questo
foglietto».
L’orefice prende in mano il biglietto, si toglie il monocolo che aveva ancora