Page 75 - Gomorra
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somiglia. I pompieri aprono le portiere prendendo il cadavere, hanno una smorfia di
            disgusto. Un carabiniere si sente male, appoggiandosi al muro vomita la pasta e patate
            mangiata poche ore prima. Il corpo era solo un tronco irrigidito, tutto nero, il volto solo
            un teschio annerito, le gambe scuoiate dalle fiamme. Presero il corpo per le braccia e
            lo posarono a terra aspettando la macchina mortuaria.

                 Il furgoncino acchiappamorti gira continuamente, lo si vede da Scampia a Torre

            Annunziata.  Raccoglie,  accumula,  preleva  cadaveri  di  gente  morta  sparata.  La
            Campania è il territorio con più morti ammazzati d'Italia, tra i primi posti al mondo. Le
            gomme della macchina mortuaria sono liscissime, basterebbe fotografare i cerchioni
            mangiucchiati e il grigiore dell'interno dei pneumatici per avere l'immagine simbolo di
            questa terra. I tizi uscirono dal furgoncino con i guanti in lattice, sporchissimi, usati e

            riusati  mille  volte,  e  si  misero  all'opera.  Infilarono  il  cadavere  in  una  busta,  quella
            nera, i body bag in cui solitamente si chiudono i corpi dei soldati morti. Il cadavere
            sembrava  uno  di  quelli  trovati  sotto  la  cenere  del  Vesuvio  dopo  che  gli  archeologi
            avevano versato il gesso nel vuoto lasciato dal corpo. Le persone intorno all'auto erano
            diventate decine e decine, ma tutte in silenzio. Sembrava non ci fosse nessuno. Neanche
            le  narici  azzardavano  a  respirare  troppo  forte.  Da  quando  è  scoppiata  la  guerra  di
            camorra molti hanno smesso di porre limite alla propria sopportazione. E sono lì a

            vedere  cos'altro  accadrà.  Ogni  giorno  apprendono  cos'altro  è  possibile,  cos'altro
            dovranno subire. Apprendono, portano a casa, e continuano a campare. I carabinieri
            iniziano a fare le foto, parte il furgoncino col cadavere. Vado in Questura. Qualcosa
            diranno su questa morte. In sala stampa ci sono i soliti giornalisti e qualche poliziotto.
            Dopo un po' si alzano i commenti: "Si ammazzano tra loro, meglio così!". "Se fai il
            camorrista  ecco  cosa  ti  accade."  "lì  è  piaciuto  guadagnare  e  ora  goditi  la  morte,

            munnezza." I soliti commenti, ma sempre più schifati, esasperati. Come se il cadavere
            fosse stato lì e tutti avessero qualcosa da rinfacciargli, questa notte rovinata, questa
            guerra che non finisce più, questi presidi militari che gonfiano ogni spigolo di Napoli. I
            medici abbisognano di lunghe ore per identificare il cadavere. Qualcuno gli trova il
            nome di un capozona scomparso qualche giorno prima. Uno dei tanti, uno dei corpi
            accatastati  in  attesa  del  peggior  nome  possibile  nelle  celle  frigo  all'ospedale
            Cardarelli. Poi giunge la smentita.


                 Qualcuno si mette le mani sulle labbra, i giornalisti deglutiscono tutta la saliva al
            punto  da  seccare  la  bocca.  I  poliziotti  scuotono  la  testa  guardandosi  le  punte  delle
            scarpe. I commenti s'interrompono colpevoli. Quel corpo era di Gelsomina Verde, una
            ragazza  di  ventidue  anni.  Sequestrata,  torturata,  ammazzata  con  un  colpo  alla  nuca

            sparato da vicino che le era uscito dalla fronte. Poi l'avevano gettata in una macchina,
            la sua macchina, e l'avevano bruciata. Aveva frequentato un ragazzo, Gennaro Notturno,
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