Page 59 - Gomorra
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perimetro specifico, minimo, senza riuscire a comprendere e conoscere l'intero
organigramma, l'enorme periplo del potere economico e militare dell'organizzazione.
Tutto l'assetto economico finanziario ha il suo team militare: un feroce gruppo di
fuoco e una capillare rete di fiancheggiatori. Nel manipolo di killer figuravano
Emanuele D'Ambra, Ugo De Lucia, detto "Ugariello", Nando Emolo, detto "'o
schizzato", Antonio Ferrara, detto "'o tavano", Salvatore Tamburino, Salvatore
Petriccione, Umberto La Monica, Antonio Mennetta. Al di sotto, i fiancheggiatori, cioè
i capizona: Gennaro Aruta, Ciro Saggese, Fulvio Montanino, Antonio Galeota,
Giuseppe Prezioso, guardaspalle personale di Cosimo, e Costantino Sorrentino.
Un'organizzazione che complessivamente contava su almeno trecento persone, tutte
tenute a stipendio. Una struttura complessa, dove tutto era inserito in un ordine preciso.
C'era il parco macchine e moto, enorme, sempre disponibile, come una struttura
d'emergenza. C'era l'armeria, nascosta e collegata a una rete di fabbri pronti a
distruggere le armi appena usate per gli omicidi. C'era una rete logistica che consentiva
ai killer di andare, subito dopo l'agguato, ad allenarsi in un regolare poligono di tiro
dove venivano registrati gli ingressi, in modo da confondere le tracce di polvere da
sparo e costruirsi un alibi per eventuali prove da stub. Lo stub è ciò che ogni killer
teme di più; la polvere da sparo che non viene mai via e che è la prova più
schiacciante. C'era addirittura una rete che forniva l'abbigliamento ai gruppi di fuoco:
tute da ginnastica anonime e casco integrale da motociclista, da distruggere subito
dopo. Un'azienda inattaccabile, dai congegni perfetti o quasi. Non si tenta di occultare
un'azione, un omicidio, un investimento ma semplicemente di non renderlo dimostrabile
in tribunale.
Frequentavo Secondigliano da tempo. Da quando aveva smesso di fare il sarto,
Pasquale mi aggiornava sull'aria che tirava nella zona, un'aria che andava mutandosi
velocemente, alla stessa velocità con cui si trasformano i capitali e le direzioni
finanziarie.
Giravo nell'area nord di Napoli in Vespa. È la luce quello che più mi piace quando
giro per Secondigliano e Scampia.
Le strade enormi, larghe, ossigenate rispetto ai grovigli del centro storico di
Napoli, come se sotto il catrame, a fianco dei palazzoni, ci fosse ancora viva la
campagna aperta. D'altronde Scampia possiede nel nome il suo spazio. Scampia,
parola di un dialetto napoletano scomparso, definiva la terra aperta, zona d'erbacce, su
cui poi a metà degli anni '60 hanno tirato su il quartiere e le famose Vele. Il simbolo
marcio del delirio architettonico o forse più semplicemente un'utopia di cemento che