Page 227 - Gomorra
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riferimento importante, e da lì a poco poteva scalciare i vecchi boss ormai con un
carisma in frantumi dopo il pentimento. Secondo la Procura Antimafia, i clan
mondragonesi avevano chiesto alla famiglia Birra di Ercolano di appaltargli alcuni
killer. Così, per eliminare "Rambo" giungono a Mondragone, nell'agosto 2003, due
ercolanesi. Arrivarono su quegli enormi scooteroni, poco agevoli ma talmente
minacciosi d'aspetto che non si può resistere a guidarli per un agguato. Non avevano
mai messo piede a Mondragone, ma riuscirono facilmente a individuare che la persona
da uccidere era lì al Roxy Bar, come sempre. Lo scooter si fermò. Scese un ragazzo che
a passo sicuro si avvicinò a "Rambo", gli scaricò addosso un intero caricatore e poi
ritornò in sella allo scooter:
"Tutto a posto? Hai fatto?"
"Sì, ho fatto vai vai vai..."
Vicino al bar c'era un gruppo di ragazze, si stavano organizzando per il ferragosto.
Appena videro arrivare il ragazzo di corsa capirono subito, non avevano confuso il
rumore di un'automatica con quello dei petardi. Tutte si sdraiarono con il viso per
terra, temendo di essere viste dal killer e quindi poter diventare dei testimoni. Ma una
non abbassò lo sguardo. Una di loro continuò a fissare il killer senza abbassare gli
occhi, senza schiacciare il suo seno sul catrame o coprirsi il viso con le mani. Era una
maestra d'asilo di trentacinque anni. La donna testimoniò, fece i riconoscimenti,
denunciò l'agguato. Nella molteplicità di motivi per cui poteva tacere, far finta di nulla,
tornare a casa e vivere come sempre c'era la paura, il terrore delle intimidazioni e
ancor più il senso dell'inutile, far arrestare un killer, uno dei tanti. E invece la maestra
mondragonese trovò nella cianfrusaglia di ragioni per tacere un'unica motivazione,
quella della verità. Una verità che ha il sapore della naturalezza, come un gesto solito,
normale, ovvio, necessario come il respiro stesso. Denunciò senza chiedere nulla in
cambio. Non pretese stipendi, scorta, non impose il prezzo alla sua parola. Svelò ciò
che aveva visto, descrisse il viso del killer, gli zigomi spigolosi, le sopracciglia folte.
Dopo aver sparato lo scooter fuggì per il paese sbagliando strada più volte, infilandosi
in vicoli ciechi, tornando indietro. Piuttosto che killer sembravano turisti schizofrenici.
Al processo scaturito dalle testimonianze della maestra venne condannato all'ergastolo
Salvatore Cefariello, ventiquattro anni, killer considerato al soldo dei clan ercolanesi.
Il magistrato che ha raccolto la testimonianza della maestra, la definì "una rosa nel
deserto" spuntata in una terra dove la verità è sempre la versione dei potenti, dove
viene declinata raramente e pronunciata come merce rara da barattare per qualche
profitto.