Page 223 - Gomorra
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gonfiarsi; pareva che qualcuno gli stesse pompando violentemente aria. Lo stesso
Augusto La Torre quando raccontò la cosa ai giudici era esterrefatto di quella
metamorfosi: gli occhi dell'egiziano si fecero minuscoli come se il cranio li stesse
risucchiando, i pori buttavano fuori un sudore denso, di miele, e dalla bocca gli usciva
una bava di ricotta. Lo uccisero in otto. Ma a sparare furono soltanto sette. Un pentito,
Mario Sperlongano, dichiarò: "Mi sembrava una cosa del tutto inutile e sciocca sparare
a un corpo senza vita". Ma era sempre andata così, Augusto era come inebriato dal suo
nome, dal simbolo del suo nome. Dietro di lui, dietro ogni sua azione dovevano stare
tutti i suoi legionari, i legionari di camorra. Omicidi che potevano essere risolti con
pochissimi esecutori, uno, al massimo due, venivano invece portati a termine da tutti i
suoi fedelissimi. Spesso veniva chiesto a ogni presente di sparare almeno un colpo,
anche se il corpo era già cadavere. Uno per tutti e tutti per uno. Per Augusto tutti i suoi
uomini dovevano partecipare, anche quando era superfluo. La continua paura che
qualcuno si potesse tirare indietro, lo portava ad agire sempre in gruppo. Poteva
accadere che gli affari ad Amsterdam, Abeerden, Londra, Caracas potessero far andar
fuori di testa qualche affiliato e convincerlo di potere far da sé. Qui la ferocia è il vero
valore del commercio: rinunciare a essa significa perdere ogni cosa. Dopo averlo
massacrato, il corpo di Hassa Fakhry fu trafitto per centinaia di volte da siringhe da
insulina, le stesse usate dagli eroinomani. Un messaggio sulla pelle che tutti da
Mondragone a Formia dovevano capire immediatamente. E il boss non guardava in
faccia a nessuno. Quando un affiliato, Paolo Montano, detto Zumpariello, uno degli
uomini più fidati delle sue batterie di fuoco, iniziò a drogarsi non riuscendo più a
staccarsi dalla coca, lo fece convocare da un suo amico fidato a un incontro in una
masseria. Giunti sul posto, Ernesto Cornacchia avrebbe dovuto scaricargli contro
l'intero caricatore, ma non volle sparare per paura di colpire il boss che si trovava
troppo vicino alla vittima. Vedendolo esitare Augusto estrasse la pistola e uccise
Montano, i colpi però trapassarono di rimbalzo anche il fianco di Cornacchia, che
preferì prendere una pallottola in corpo piuttosto che rischiare di ferire il boss. Anche
Zumpariello fu gettato in un pozzo e fatto saltare, alla mondragonese. I legionari
avrebbero fatto di tutto per Augusto: anche quando il boss si è pentito l'hanno seguito.
Nel gennaio 2003 il boss, dopo l'arresto della moglie, decise di fare il grande passo e
si pentì. Accusò se stesso e i suoi fedelissimi di una quarantina di omicidi, fece trovare
nelle campagne mondragonesi i resti delle persone che aveva dilaniato nel fondo dei
pozzi, denunciò se stesso per decine e decine di estorsioni. Una confessione tarata
piuttosto sugli aspetti militari che su quelli economici. Dopo poco tempo i fedelissimi
Mario Sperlongano, Giuseppe Valente, Girolamo Rozzera, Pietro Scuttini, Salvatore
Orabona, Ernesto Cornacchia, Angelo Gagliardi lo seguirono. I boss, una volta finiti in
carcere, hanno nel silenzio l'arma più sicura per conservare autorevolezza, continuare a
possedere formalmente il potere anche se il regime di carcere duro li allontana dalla