Page 220 - Gomorra
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imprenditoriale  e  militare.  I  clan  erano  la  prima  forza  economica  del  territorio,
            rifiutare un rapporto con loro sarebbe stato come se un vicesindaco torinese avesse
            rifiutato un incontro con l'amministratore delegato della FIAT. Augusto La Torre non
            aveva in mente di acquistare alcune quote della clinica a un prezzo vantaggioso, come
            avrebbe fatto un boss diplomatico, le quote della clinica le voleva gratuitamente. In
            cambio avrebbe garantito che tutte le sue imprese vincitrici degli appalti di servizio,
            pulizie, mense, trasporti, guardiane-rie, avrebbero lavorato con professionalità e con

            un prezzo d'appalto molto vantaggioso. Assicurava che persino le sue bufale avrebbero
            fatto il latte più buono se quella clinica fosse divenuta la sua. Nugnes fu prelevato dalla
            sua azienda agricola con la scusa di un incontro con il boss e fu portato in una masseria
            di Falciano del Massico. Ad attendere Nugnes - secondo le dichiarazioni del boss -
            c'era oltre lo stesso Augusto, Jimmy ossia Girolamo Rozzera, e Massimo Gitto, Angelo

            Gagliardi,  Giuseppe  Valente,  Mario  Sperlongano  e  Francesco  La  Torre.  Tutti  ad
            attendere  che  l'agguato  fosse  compiuto.  Il  vicesindaco,  appena  sceso  dall'auto,  andò
            incontro al boss. Mentre Augusto allargava le braccia per salutarlo, biascicò una frase
            a Jimmy, come il boss ha confessato ai magistrati:

                 "Vieni, è arrivato zio Antonio."


                 Un messaggio chiaro e finale. Jimmy si avvicinò alle spalle di Nugnes e sparò due
            colpi che gli si conficcarono nella tempia, i colpi di grazia li sparò il boss stesso. Il
            corpo  lo  gettarono  in  un  pozzo  profondo  quaranta  metri  in  aperta  campagna  e
            lanciarono dentro due bombe a mano. Per anni di Antonio Nugnes non si seppe nulla.
            Arrivavano telefonate di persone che lo vedevano in mezz'Italia, era invece in un pozzo
            coperto da quintali di terra. Tredici anni dopo, Augusto e i suoi fedelissimi indicarono

            ai carabinieri dove poter trovare i resti del vicesindaco che aveva osato opporsi alla
            crescita dell'azienda dei La Torre. Quando i carabinieri iniziarono a raccogliere i resti,
            si accorsero che non c'erano quelli di un solo uomo. Quattro tibie, due crani, tre mani.
            Per  più  di  dieci  anni  il  corpo  di  Nugnes  era  stato  al  fianco  di  quello  di  Vincenzo
            Boccolato, un camorrista legato a Cutolo, che poi con la sconfitta si era avvicinato ai
            La Torre.


                 Boccolato era stato condannato a morte perché in una lettera inviata dal carcere a
            un  suo  amico  aveva  pesantemente  offeso  Augusto.  Il  boss  l'aveva  trovata  per  caso,
            mentre  gironzolava  per  il  soggiorno  di  un  suo  affiliato,  scartabellando  tra  fogli  e
            foglietti aveva riconosciuto il suo nome, e incuriosito si era messo a leggere la caterva
            di  insulti  e  critiche  che  Boccolato  gli  dedicava.  Già  prima  di  concludere  la  lettera

            l'aveva  condannato  a  morte.  A  ucciderlo  mandò  Angelo  Gagliardi,  un  ex  cutoliano
            come lui, uno di quelli sulla cui auto sarebbe salito senza sospettare nulla. Gli amici
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