Page 193 - Gomorra
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Il tribunale di Santa Maria Capua Vetere nel 2001 condannò con sentenza di primo
            grado  all'ergastolo  Vincenzo  Verde,  Francesco  Piacenti,  Giuseppe  Della  Medaglia.
            Giuseppe Quadrano aveva iniziato da tempo un'opera finalizzata a screditare la figura
            di  don  Peppino.  Durante  gli  interrogatori  almanaccava  su  una  serie  di  moventi
            dell'omicidio  volti  a  strozzare  l'impegno  di  don  Peppino  dentro  un  cappio  di
            interpretazioni criminali. Raccontò che Nunzio De Falco aveva dato a don Diana delle

            armi, poi girate senza autorizzazione a Walter Schiavone: e per questo grave sgarro era
            stato punito. Inoltre si raccontò di un delitto passionale, cioè che l'avevano ammazzato
            perché  aveva  insidiato  la  cugina  di  un  boss.  Come  per  interrompere  ogni  tipo  di
            riflessione su una donna è sufficiente definirla "mignotta", così accusare un prete di
            essere mignottaro è il modo più veloce per chiudere un giudizio. Alla fine uscì fuori la

            storia che don Peppino era stato ucciso per non aver fatto il suo dovere di prete, per
            non  aver  voluto  celebrare  in  chiesa  i  funerali  di  un  parente  di  Quadrano.  Moventi
            inverosimili,  risibili,  finalizzati  al  tentativo  di  evitare  di  fare  di  don  Peppino  un
            martire,  a  non  voler  far  diffondere  i  suoi  scritti,  a  non  considerarlo  una  vittima  di
            camorra ma un soldato dei clan. Chi non conosce le dinamiche di potere della camorra
            spesso crede che uccidere un innocente sia un gesto di terribile ingenuità da parte dei
            clan perché legittima e amplifica il suo esempio, le sue parole. Come una conferma alle

            sue verità. Errore. Non è mai così. Appena muori in terra di camorra, vieni avvolto da
            molteplici sospetti, e l'innocenza è un'ipotesi lontana, l'ultima possibile. Sei colpevole
            sino a prova contraria. La teoria del diritto moderno nella terra dei clan è capovolta.

                 L'attenzione  è  talmente  poca  che  basta  un  sospetto,  e  le  agenzie  di  stampa  non
            battono la notizia della morte di un innocente. E poi, se non ci sono più morti nessuno

            tornerà  sul  caso.  E  così  distruggere  l'immagine  di  don  Peppino  Diana  è  stata  una
            strategia  fondamentale  per  alleggerire  le  pressioni  sui  clan,  l'assillo  di  un  interesse
            nazionale che avrebbe gravato troppo.

                 Un quotidiano locale fece da cassa di risonanza alla campagna di screditamento di
            don Peppino. Con titoli così carichi di grassetto che le lettere ti rimanevano stampate
            sui polpastrelli quando sfogliavi il giornale: "Don Diana era un camorrista" e pochi

            giorni dopo: "Don Diana a letto con due donne". Il messaggio era chiaro: nessuno può
            schierarsi contro la camorra. Chi lo fa ha sempre un interesse personale, una bega, una
            questione privata che rotola nello stesso lerciume.

                 A difenderne la memoria c'erano gli amici di sempre, i familiari e le persone che lo

            seguivano,  come  il  giornalista  Raffaele  Sardo  che  ha  custodito  la  sua  memoria  in
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