Page 183 - Gomorra
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stupefacenti  il  cui  uso  produce  schiere  di  giovani  emarginati,  e  manovalanza  a
            disposizione delle organizzazioni criminali; scontri tra diverse fazioni che si abbattono
            come veri flagelli devastatori sulle famiglie delle nostre zone; esempi negativi per tutta
            la fascia adolescenziale della popolazione, veri e propri laboratori di violenza e del
            crimine organizzato [...]

                 Don Peppino aveva come priorità ricordare che bisognava, dinanzi all'ondata del

            potere dei clan, non più contenere l'attività nel silenzio del confessionale. Setacciò così
            la voce dei profeti per sostenere la necessità prioritaria di scendere per le strade, di
            denunciare,  di  agire  come  condizione  assoluta  per  dare  ancora  un  senso  al  proprio
            essere.


                 II nostro impegno profetico di denuncia non deve le non può venire meno, Dio ci
            chiama a essere profeti.

                 “Il Profeta fa da sentinella: vede l'ingiustizia, la denuncia e richiama il progetto
            originario di Dio” (Ezechiele 3,16-18);

                 “Il Profeta ricorda il passato e se ne serve per cogliere nel presente il nuovo”

            (Isaia 43);

                 “Il  Profeta  invita  a  vivere  e  lui  stesso  vive  la  solidarietà  nella  sofferenza”
            (Genesi 8,18-23);


                 “Il Profeta indica come prioritaria la via della giustizia” (Geremia 22,3 - Isaia
            58).

                 Ai preti nostri pastori e confratelli chiediamo di parlare chiaro nelle omelie e in
            tutte quelle occasioni in cui si richiede una testimonianza coraggiosa. Alla chiesa che
            non  rinunci  al  suo  ruolo  "profetico"  affinché  gli  strumenti  della  denuncia  e
            dell'annuncio  si  concretizzino  nella  capacità  di  produrre  nuova  coscienza  nel  segno
            della giustizia, della solidarietà dei valori etici e civili.


                 Il documento non aveva la volontà di risultare corretto verso il potere politico, che
            non  considerava  soltanto  sostenuto  dai  clan  ma  anzi  persino  determinato  da  scopi
            comuni, né accondiscendente verso la realtà sociale. Don Peppino non voleva credere
            che  il  clan  fosse  la  scelta  del  male  fatta  da  qualcuno,  ma  era  invece  il  risultato  di

            condizioni precise, di meccanismi determinati, di cause identificabili e incancrenite.
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