Page 181 - Gomorra
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andava confortando donne cornute, aveva cambiato con naturalezza il ruolo del prete di
            provincia.  Aveva  deciso  di  interessarsi  delle  dinamiche  di  potere:  non  solo  dei
            corollari  della  miseria,  non  voleva  soltanto  nettare  la  ferita,  ma  comprendere  i
            meccanismi della metastasi, bloccare la cancrena, fermare l'origine di ciò che rendeva
            la sua terra una miniera di capitali e un tracciato di cadaveri. Fumava anche il sigaro
            ogni  tanto  in  pubblico,  altrove  poteva  sembrare  un  gesto  innocuo.  Da  queste  parti  i
            preti tendevano ad avere atteggiamenti di finta privazione del superfluo e nelle loro

            stanze  davano  sfogo  alle  pigre  debolezze.  Don  Peppino  aveva  deciso  di  lasciare
            somigliare la sua faccia sempre più a se stesso, come una garanzia di trasparenza in una
            terra  dove  i  volti  invece  devono  orientarsi  in  smorfie  pronte  a  mimare  ciò  che  si
            rappresenta,  aiutati  dai  soprannomi  che  caricano  il  proprio  corpo  del  potere  che  si
            vuole suturare alla propria epidermide. Aveva l'ossessione del fare, aveva iniziato a

            realizzare  un  centro  di  accoglienza  dove  offrire  vitto  e  alloggio  ai  primi  immigrati
            africani. Era necessario accoglierli, evitare - come poi accadrà - che i clan potessero
            iniziare  a  farne  dei  perfetti  soldati.  Per  realizzare  il  progetto  aveva  devoluto  anche
            alcuni risparmi personali accumulati con l'insegnamento. Attendere aiuti istituzionali
            può  essere  cosa  così  lenta  e  complicata  da  divenire  il  più  reale  dei  motivi  per
            l'immobilità.  Da  quando  era  sacerdote  aveva  visto  l'avvicendarsi  dei  boss,
            l'eliminazione di Bardellino e il potere di Sandokan e di Cicciotto di Mezzanotte, i

            massacri tra bardelliniani e Casalesi poi tra i dirigenti vincenti.

                 Un episodio rimasto famoso nelle cronache di quel periodo fu un corteo di diverse
            automobili che sfilò per le strade del paese. Erano circa le sei del pomeriggio quando
            una  decina  di  auto  fecero  una  sorta  di  carosello  sotto  le  case  dei  nemici.  I  gruppi
            vincenti  di  Schiavone  andarono  a  sfidare  sotto  le  loro  case  gli  avversari.  Ero  un

            ragazzino,  ma  i  miei  cugini  giurano  di  averlo  visto  con  i  propri  occhi.  Le  auto
            procedevano  lentamente  per  le  strade  di  San  Cipriano,  Casapesenna  e  Casal  di
            Principe, e gli uomini sedevano cavalcioni sui finestrini con una gamba dentro l'auto e
            l'altra  penzoloni.  Tutti  con  i  mitra  in  mano  e  il  volto  scoperto.  Procedendo  a  passo
            lento, il corteo raccoglieva progressivamente altri affiliati che scendevano di casa con
            fucili  e  semiautomatiche,  e  proseguivano  a  piedi  dietro  le  auto.  Una  vera  e  propria
            manifestazione pubblica armata di affiliati contro altri. Si fermavano sotto le case degli

            avversari. Di chi aveva osato opporsi al loro predominio.

                 "Scendete uomini di merda! Scendete di casa... se avete le palle!"

                 Durò  almeno  un'ora  questo  corteo.  Girò  indisturbato  mentre  le  saracinesche  dei

            negozi, dei bar, si abbassavano all'istante. Per due giorni ci fu un coprifuoco totale.
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