Page 174 - Gomorra
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andato a Casarsa, sulla tomba di Pasolini. Ci sono andato da solo, anche se queste cose
per renderle meno patetiche bisognerebbe farle in compagnia. In banda. Un gruppo di
fedeli lettori, una fidanzata. Ma io ostinatamente sono andato da solo.
Casarsa è un bel posto, uno di quei posti dove ti viene facile pensare a qualcuno
che voglia campare di scrittura, e invece ti è difficile pensare a qualcuno che se ne va
dal paese per scendere più giù, oltre la linea dell'inferno. Andai sulla tomba di Pasolini
non per un omaggio, neanche per una celebrazione. Pier Paolo Pasolini. Il nome uno e
trino, come diceva Caproni, non è il mio santino laico, né un Cristo letterario. Mi
andava di trovare un posto. Un posto dove fosse ancora possibile riflettere senza
vergogna sulla possibilità della parola. La possibilità di scrivere dei meccanismi del
potere, al di là delle storie, oltre i dettagli. Riflettere se era ancora possibile fare i
nomi, a uno a uno, indicare i visi, spogliare i corpi dei reati e renderli elementi
dell'architettura dell'autorità. Se era ancora possibile inseguire come porci da tartufo le
dinamiche del reale, l'affermazione dei poteri, senza metafore, senza mediazioni, con la
sola lama della scrittura.
Presi il treno da Napoli per Pordenone, un treno lentissimo dal nome assai
eloquente sulla distanza che doveva percorrere: Marco Polo. Una distanza enorme
sembra separare il Friuli dalla Campania. Partito alle otto meno dieci arrivai in Friuli
alle sette e venti del giorno dopo, attraversando una notte freddissima che non mi diede
tregua per dormire neanche un po'. Da Pordenone con un bus arrivai a Casarsa e scesi
camminando a testa bassa come chi sa già dove andare e la strada può anche
riconoscerla guardandosi la punta delle scarpe. Mi persi, ovviamente. Ma dopo aver
vagato inutilmente riuscii a raggiungere via Valvasone, il cimitero dove è sepolto
Pasolini e tutta la sua famiglia. Sulla sinistra, poco dopo l'ingresso, c'era un'aiuola di
terra nuda. Mi avvicinai a questo quadrato con al centro due lastre di marmo bianco,
piccole, e vidi la tomba. "Pier Paolo Pasolini (1922-1975)." Al fianco, poco più in là,
quella della madre. Mi sembrò d'essere meno solo, e lì iniziai a biascicare la mia
rabbia, con i pugni stretti sino a far entrare le unghie nella carne del palmo. Iniziai a
articolare il mio io so, l'io so del mio tempo.
Io so e ho le prove. Io so come hanno origine le economie e dove prendono l'odore.
L'odore dell'affermazione e della vittoria. Io so cosa trasuda il profitto. Io so. E la
verità della parola non fa prigionieri perché tutto divora e di tutto fa prova. E non deve
trascinare controprove e imbastire istruttorie. Osserva, soppesa, guarda, ascolta. Sa.
Non condanna in nessun gabbio e i testimoni non ritrattano. Nessuno si pente. Io so e ho
le prove. Io so dove le pagine dei manuali d'economia si dileguano mutando i loro
frattali in materia, cose, ferro, tempo e contratti. Io so. Le prove non sono nascoste in