Page 115 - Gomorra
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La vittoria era quella militare, le congratulazioni per averla combattuta dalla parte
giusta. I Di Lauro sono in galera, ma hanno salvato pelle e business, almeno quello
familiare.
La situazione si calmò d'improvviso dopo le trattative tra i clan e dopo gli arresti.
Giravo per una Secondigliano sfiancata, calpestata da troppe persone, fotografata,
ripresa, abusata. Affaticata da tutto. Riuscivo a fermarmi davanti ai murales di Felice
Pignataro, davanti ai volti del sole, ai teschi ibridati coi pagliacci. Murales che
regalavano al cemento armato un marchio di leggera e inaspettata bellezza.
D'improvviso esplosero in cielo dei fuochi d'artificio, e i rumori ossessivi dei tric-trac
non terminavano mai. Le troupe giornalistiche che stavano smantellando le loro
postazioni dopo l'arresto del boss, si catapultarono a vedere cosa fosse. L'ultimo
servizio prezioso, due intere palazzine erano in festa. Accesero i microfoni, i fari
illuminavano le facce, telefonarono ai capiservizio per annunciare un servizio sui
festeggiamenti degli Spagnoli per l'arresto di Paolo Di Lauro. Mi avvicinai per
chiedere cosa fosse, un ragazzo mi rispose contento per la mia domanda: "È per
Peppino, è uscito dal coma". Peppino stava andando a lavorare un anno prima quando
la sua Ape, il treruote che lo portava al mercato, aveva iniziato a sbandare e si era
capovolta. Le strade napoletane sono idrosolubili, dopo due ore di pioggia il basalto
inizia a galleggiare e il catrame si scioglie come fosse impastato con la salsedine.
L'Ape si era ribaltata e Peppino aveva avuto un gravissimo trauma cranico. Per
recuperarlo dalla scarpata dove era finita l'Ape avevano usato un trattore fatto venire
dalla campagna. Dopo un anno di coma si era svegliato e dopo qualche mese l'ospedale
gli aveva dato il permesso di tornare a casa. Il quartiere festeggiava il suo ritorno.
Appena sceso dall'auto, mentre ancora lo sistemavano in carrozzella avevano fatto
partire i primi fuochi d'artificio. I bambini si facevano fare le fotografie mentre gli
accarezzavano la testa completamente rasata. La madre di Peppino lo proteggeva da
carezze e baci troppo violenti per le sue forze stremate. Gli inviati che erano sul posto
ritelefonarono alle redazioni, bloccarono tutto, la serenata calibro 38 che volevano
riprendere era svanita in una festa per un ragazzino uscito dal coma. Tornarono indietro
per andare agli alberghi, io proseguii. Mi infilai a casa di Peppino, come un felice
imboscato a una festa troppo allegra per mancare. Per tutta la notte brindai alla salute
di Peppino con tutte le persone del palazzo. Sparsi sui gradini delle scale, tra
pianerottoli e porte aperte senza comprendere di chi fossero le case aperte e piene
d'ogni cosa sui tavoli. Completamente zuppo di vino mi misi a fare la staffetta con la
Vespa tra un bar ancora aperto e casa di Peppino rifornendo tutti di bottiglie di rosso e
Coca Cola. Quella notte Secondigliano era silenziosa e stremata. Senza giornalisti ed
elicotteri. Senza vedette e pali. Un silenzio che faceva venire voglia di dormire, come