Page 104 - Gomorra
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scorrere.  I  mucchi  di  segatura  stentano  ad  assorbirlo.  Un'auto  dopo  un  po',
            approfittando dello spazio vuoto, parcheggia sulla macchia di sangue. E tutto finisce.
            Tutto si copre. È stato ammazzato per dare un messaggio al paese, un messaggio di
            carne  chiuso  in  una  busta  di  sangue.  Come  in  Bosnia,  come  in  Algeria,  come  in
            Somalia, come in qualsiasi confusa guerra interna, quando è difficile capire a che parte
            appartieni, basta uccidere il tuo vicino, il cane, l'amico, o un tuo familiare. Una voce di
            parentela, una somiglianza è condizione sufficiente per diventare bersaglio. Basta che

            passi  per  una  strada  per  ricevere  subito  un'identità  di  piombo.  L'importante  è
            concentrare il più possibile dolore, tragedia e terrore. Con l'unico obiettivo di mostrare
            la forza assoluta, il dominio incontrastato, l'impossibilità di opporsi al potere vero,
            reale, imperante. Sino ad abituarsi a pensare come coloro che potrebbero risentirsi di
            un gesto o di una parola. Stare attenti, guardinghi, silenziosi, per salvarsi la vita, per

            non  toccare  il  filo  ad  alta  tensione  della  vendetta.  Mentre  mi  allontanavo,  mentre
            portavano via Attilio Romano, iniziai a capire. A capire perché non c'è momento in cui
            mia madre non mi guardi con preoccupazione, non comprendendo perché non me ne
            vado,  perché  non  fuggo  via,  perché  continuo  a  vivere  in  questi  luoghi  d'inferno.
            Cercavo di ricordare da quando sono nato quanti sono i caduti, gli ammazzati, i colpiti.

                 Non bisognerebbe contare i morti per comprendere le economie della camorra, anzi

            sono  l'elemento  meno  indicativo  del  potere  reale,  ma  sono  la  traccia  più  visibile  e
            quella che riesce d'immediato a far ragionare con lo stomaco. Inizio la conta: nel 1979
            cento  morti,  nel  1980  centoquaranta,  nel  1981  centodieci,  nel  1982
            duecentosessantaquattro, nel 1983 duecentoquattro, nel 1984 centocinquantacinque, nel
            1986  centosette,  nel  1987  centoventisette,  nel  1988  centosessantotto,  nel  1989
            duecentoventotto,  nel  1990  duecentoventidue,  nel  1991  duecentoventitré,  nel  1992

            centosessanta, nel 1993 centoventi, nel 1994 centoquindici, nel 1995 centoquarantotto,
            nel 1996 cento-quarantasette, nel 1997 centotrenta, nel 1998 centotrentadue, nel 1999
            novantuno,  nel  2000  centodiciotto,  nel  2001  ottanta,  nel  2002  sessantatré,  nel  2003
            ottantatré, nel 2004 centoquaran-tadue, nel 2005 novanta.

                 Tremilaseicento morti da quando sono nato. La camorra ha ucciso più della mafia
            siciliana, più della 'ndrangheta, più della mafia russa, più delle famiglie albanesi, più

            della somma dei morti fatti dall'ETA in Spagna e dell'IRA in Irlanda, più delle Brigate
            Rosse, dei NAR e più di tutte le stragi di Stato avvenute in Italia. La camorra ha ucciso
            più di tutti. Mi viene in mente un'immagine. Quella della cartina del mondo che spesso
            compare  sui  giornali.  Campeggia  sempre  in  qualche  numero  di  "Le  Monde
            Diplomatique", quella mappa che indica con un bagliore di fiamma tutti i luoghi della

            terra  dove  c'è  un  conflitto.  Kurdistan,  Sudan,  Kosovo,  Timor  Est.  Viene  di  gettare
            l'occhio sull'Italia del sud. Di sommare i cumuli di carne che si accatastano in ogni
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