Page 102 - Gomorra
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respirare. L'odore di sangue rappreso che ormai ha impregnato anche l'intonaco della
stanza sa di ferro rugginoso. Devi uscire, andare fuori, andare all'aria prima che gettino
la segatura sul sangue perché l'impasto genera un odore terribile che fa crollare ogni
resistenza al vomito.
Non capivo davvero perché avevo ancora una volta scelto di andare sul posto
dell'agguato. Di una cosa ero certo: non è importante mappare ciò che è finito,
ricostruire il dramma terribile che è accaduto. È inutile osservare i cerchi di gesso
intorno ai rimasugli dei bossoli che quasi sembrano un gioco infantile di biglie.
Bisogna invece riuscire a capire se qualcosa è rimasto. Questo forse vado a
rintracciare. Cerco di capire cosa galleggia ancora d'umano; se c'è un sentiero, un
cunicolo scavato dal verme dell'esistenza che possa sbucare in una soluzione, in una
risposta che dia il senso reale di ciò che sta accadendo.
Il corpo di Attilio è ancora per terra quando arrivano i familiari. Due donne, forse
la madre e la moglie, non so. Nel percorso si stringono, camminano avvinghiate, spalla
incollata all'altra spalla, ormai sono le uniche a sperare che non sia come hanno già
capito e sanno benissimo. Ma sono allacciate, si sostengono l'una con l'altra, un attimo
prima di trovarsi dinanzi alla tragedia. È in quegli attimi, nei passi delle mogli e delle
madri verso l'incontro con il corpo crivellato, che si intuisce un'irrazionale, folle,
balorda fiducia nel desiderio umano. Sperano, sperano, sperano e sperano ancora che
ci sia stato un errore, una bugia nel passaparola, un fraintendimento del maresciallo dei
carabinieri che annunciava l'agguato e l'assassinio. Come se ostinarsi maggiormente nel
credere qualcosa possa davvero mutare il corso degli eventi. In quel momento la
pressione arteriosa della speranza raggiunge una massima assoluta senza minima
alcuna. Ma non c'è nulla da fare. Le urla, i pianti mostrano la forza di gravità del reale.
Attilio è lì per terra. Lavorava in un negozio di telefonia e poi per arrotondare in un
cali center. Lui e sua moglie Natalia non avevano ancora un bambino. Non c'era ancora
il tempo, non c'era forse la possibilità economica di mantenerlo e magari aspettavano
la possibilità di farlo crescere altrove. Le giornate si consumavano in ore di lavoro e
quando c'è stata la possibilità e qualche risparmio, Attilio ha creduto buona cosa poter
diventare azionista di quel negozio dove ha trovato la morte. L'altro socio però ha una
lontana parentela con Pariante, il boss di Bacoli, un colonnello di Di Lauro, uno di
quelli che gli si sono messi contro. Attilio non sa o quantomeno sottovaluta, si fida del
suo socio, gli basta sapere che è una persona che vive del suo mestiere, faticando
molto, troppo. Insomma in questi luoghi non si decide della propria sorte, il lavoro
sembra essere un privilegio, qualcosa che una volta raggiunto, si tiene stretto, quasi
come una fortuna che ti è capitata, un destino benevolo che ha voluto centrarti, anche se
questo lavoro ti porta fuori casa per tredici ore al giorno, ti lascia mezza domenica