Page 103 - Gomorra
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libera e mille euro al mese che a stento ti bastano per pagare un mutuo. Comunque sia
            arrivato il lavoro, bisogna ringraziare e non fare troppe domande a sé e al destino.

                 Ma qualcuno fa cadere il sospetto. E allora il corpo di Attilio Romano rischia di
            venire sommato a quello dei soldati di camorra ammazzati in questi mesi. I corpi sono
            gli stessi, le ragioni della morte sono però diverse anche se si cade sullo stesso fronte
            di guerra. Sono i clan che decidono chi sei, quale parte occupi nel risiko del conflitto.

            Le  parti  sono  determinate  indipendentemente  dalle  volontà.  Quando  gli  eserciti
            scendono per strada non è possibile tracciare una dinamica esterna alla loro strategia,
            il senso lo concedono loro, i motivi, le cause. In quell'istante, quel negozio dove Attilio
            lavorava  era  espressione  di  un'economia  legata  al  gruppo  degli  Spagnoli  e
            quell'economia andava sconfitta.


                 Natalia, Nata come la chiamava Attilio, è una ragazza stordita dalla tragedia. Si era
            sposata  appena  quattro  mesi  prima,  ma  non  viene  consolata,  al  funerale  non  c'è
            Presidente della Repubblica, ministro, sindaco che le tiene la mano. Meglio così forse,
            si risparmia la messa in scena istituzionale. Ma ciò che aleggia sulla morte di Attilio è
            un'ingiusta  diffidenza.  E  la  diffidenza  è  l'assenso  silenzioso  che  viene  concesso
            all'ordine della camorra. L'ennesimo consenso all'agire dei clan. Ma i colleghi del cali

            center di Attila, come lo chiamavano per la sua violenta voglia di vivere, organizzano
            fiaccolate  e  si  ostinano  a  camminare  anche  se  sul  percorso  della  manifestazione
            avvengono ancora agguati, il sangue ancora traccia la strada. Procedono, accendono
            luci, fanno capire, tolgono ogni onta, cassano ogni sospetto. Attila è morto sul lavoro e
            con la camorra non aveva rapporto alcuno.


                 In realtà dopo ogni agguato il sospetto grava su tutti. Troppo perfetta è la macchina
            dei clan. Non c'è errore. C'è punizione. E così è al clan che viene data fiducia, non ai
            familiari  che  non  capiscono,  non  ai  colleghi  di  lavoro  che  lo  conoscono,  non  alla
            biografia di un individuo. In questa guerra le persone vengono stritolate senza colpa
            alcuna, vengono rubricate negli effetti collaterali o nei probabili colpevoli.

                 Un  ragazzo,  Dario  Scherillo,  ventisei  anni,  ucciso  il  26  dicembre  2004,  mentre

            camminava in motocicletta viene colpito in faccia, al petto, lasciato morire a terra nel
            suo  sangue  che  ha  il  tempo  di  impregnare  completamente  la  camicia.  Un  ragazzo
            innocente. Gli è bastato essere di Casavatore, un paese martoriato da questo conflitto.
            Per  lui  ancora  silenzio,  incomprensione.  Nessuna  epigrafe,  né  targa,  né  ricordo.
            "Quando si è uccisi dalla camorra, non si sa mai" mi dice un vecchio che si fa il segno

            della croce nei pressi del luogo dove Dario è caduto. Il sangue a terra è di un rosso
            vivo. Non tutto il sangue ha lo stesso colore. Quello di Dario è porpora, sembra ancora
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