Page 95 - Amici come prima. Storie di mafia e politica
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Sempre Giliberti, durante il processo, racconta che alle elezioni europee
Sprio era molto impegnato nella campagna elettorale del suo assessore
regionale, Totò Cuffaro, anche perché legato a lui dalla comune
provenienza da Raffadali, un grosso comune agricolo dell'interno
agrigentino.
I due si conoscono e, secondo il killer, Sprio quando parla di Cuffaro lo
chiama «il mio figlioccio». Ovviamente questo non costituisce alcun capo di
accusa per il politico, che ha sempre dichiarato di aver incontrato Sprio una
sola volta, ma testimonia di un legame che spesso, in Sicilia, può essere
dato semplicemente dall'essere nati nello stesso paese o dall'avere amici
comuni e ciò, indipendentemente dalla volontà delle persone, autorizza a
trasformare agli occhi degli altri una semplice conoscenza in una grande
amicizia.
Di certo, invece, secondo quanto scrivono i giudici del Tribunale di
Palermo nella sentenza che ha condannato all'ergastolo Sprio per gli
omicidi dei due funzionari pubblici, il comportamento dell'assessore
regionale Totò Cuffaro non è stato lineare né trasparente.
Alla descrizione dettagliata di questo clima interno agli uffici della
Regione, i giudici dedicano circa venti pagine, nelle quali si afferma
chiaramente che la pratica riguardante Sprio è «stata tenuta ferma oltre
quattro mesi nell'ufficio di gabinetto, oppure sul tavolo dell'assessore [...]
per la firma del provvedimento di interdizione e dello schema di addebito,
benché il foglio vettore firmato da Basile contenesse la scritta urgente. [...]
La carpetta viene restituita dopo mesi e per giunta con l'invito a
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ricominciare da capo il provvedimento disciplinare» .
I giudici, come si legge sfogliando il malloppone della sentenza, sono
puntigliosi nella ricostruzione di tutti i passaggi della pratica e a un certo
punto scrivono: «L'assessore avrebbe dovuto solo firmarla, ed è veramente
molto strano e inquietante che - ammesso che non avesse trovato prima il
tempo di farlo o che nessuno del suo gabinetto gliela avesse sottoposta -
questo tempo sia stato trovato il 12 luglio, sette giorni dopo l'uccisione del
dott. Basile, quando in un assessorato totalmente allo sbando per effetto di
quanto era accaduto, la carpetta fece finalmente il percorso inverso,
venendo restituita al gruppo che era rimasto privo di titolare».
La conclusione dei magistrati, benché tragica nei contenuti, avrebbe
dovuto comportare un dibattito severo nel mondo politico siciliano, tra i
vertici della burocrazia, nella commissione Antimafia. Non è successo
niente e le parole dei giudici di Palermo rimangono la denuncia più dura di
un clima al quale possono concorrere più fattori, dalla paura alla
vigliaccheria, dalla superficialità alla collusione. L'anomalia è nel fatto che
la politica tace sempre su ciò che la riguarda direttamente.