Page 94 - Amici come prima. Storie di mafia e politica
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questo omicidio.
              In  seguito  alla  condanna  per  truffa,  Sprio  viene  prima  sospeso  dal
          lavoro  e  poi  reintegrato.  Ma  bisogna  tornare  indietro  nel  tempo  per
          comprendere cosa è successo.

              Quando nel 1998, con la sentenza della Corte d'appello, la condanna
          diventa  definitiva,  all'assessorato  regionale  all'Agricoltura,  da  cui  Sprio
          dipende,  bisogna  istruire  la  pratica  di  licenziamento.  Il  procedimento
          dipende dall'ufficio diretto da Filippo Basile.

              È  un  atto  dovuto,  ma,  come  scrive  a  proposito  su la  Repubblica  di
          Palermo  Umberto  Santino,  presidente  del  Centro  di  documentazione
          Peppino Impastato, «in un contesto mafioso gli atti normali e impersonali
          che  dovrebbero  identificare  l'agire  della  burocrazia,  diventano  azioni  da

          incoscienti e come tali vengono isolate».
              La pratica che riguarda Sprio comincia l'iter burocratico, col passaggio
          da un protocollo e all'altro, da una stanza all'altra, da un ufficio all'altro
          dello stesso palazzo. Passano mesi, si perde un tempo infinito, e qualcuno

          pensa  che  ciò  serva  a  far  maturare  il  termine  del  raggiungimento  della
          pensione, altrimenti non più fruibile, secondo la legge, da parte di Sprio.
              L'assessore  viene  sollecitato  ad  applicare  il  licenziamento  anche  dal
          presidente della Regione, Angelo Capodicasa, al quale è stata segnalata

          l'insostenibilità della situazione di Sprio, per di più sotto i riflettori accesi
          dall'indagine della commissione Antimafia, il cui presidente, Fabio Granata,
          aveva  in  effetti  colto  anomalie  e  «stranezze»  nei  diversi  passaggi
          burocratici e nei comportamenti dell'assessore.

              Alla fine, Cuffaro firmerà il licenziamento ma, con una prassi inusuale e
          mai  verificatasi  prima,  fa  controfirmare  l'atto  anche  dal  presidente  della
          Regione,  quasi  avesse  bisogno  di  una  copertura  istituzionale  e  di  un
          alleggerimento formale delle proprie responsabilità.

              La data, sotto la firma, è del 12 luglio 1999.
              Filippo Basile, che ha istruito e seguito la pratica del licenziamento di
          Sprio, è stato ucciso sette giorni prima.
              Chissà,  è  difficile  dirlo,  ma  forse,  se  non  si  fossero  persi  mesi  nel

          passaggio  dei  fogli  da  una  scrivania  all'altra  dello  stesso  assessorato,
          soltanto per apporvi timbri e firme, Basile non sarebbe stato ucciso.
              Uno dei due killer di Basile, Ignazio Giliberti, un professionista con una
          forte  personalità  criminale,  aveva  conosciuto  Sprio  nel  carcere

          dell'Ucciardone  di  Palermo,  durante  la  sua  detenzione  seguita  alla
          condanna  per  la  truffa  delle  cooperative,  e  ne  era  nato  un  legame
          destinato a durare nel tempo, anche perché, secondo quanto dichiarato da
          Giliberti ai magistrati, «Sprio era nipote di un grosso boss della mafia di

          Raffadali ed egli stesso contava moltissimo in quella cosca».
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