Page 48 - Amici come prima. Storie di mafia e politica
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Fino  al  momento  del  suo  arresto,  Giuseppe  Nobile  era  un  uomo  di
          Alfano  e  Cimino,  godeva  della  loro  fiducia,  li  rappresentava  in  Consiglio
          provinciale e, nella qualità di presidente della Commissione per lo sviluppo,
          era anche il punto di incontro tra la loro politica, l'istituzione provinciale e il

          mondo  imprenditoriale  e  produttivo.  Ovviamente  era  il  loro  diretto
          rappresentante anche a Favara, dove però assolveva a un doppio incarico,
          essendo anche il rappresentante del mandamento mafioso di quel territorio
          e  quindi,  secondo  i  giudici,  il  capo  di  una  delle  mafie  più  pericolose  e

          potenti della Sicilia.
              Il 28 gennaio del 2004 il Tribunale di Palermo, con rito abbreviato, lo ha
          condannato  a  7  anni  di  reclusione,  confermando  la  validità  dell'indagine
          della squadra mobile di Agrigento.

              Quando  Nobile  fu  candidato  ed  eletto  e  poi  investito  di  alti  incarichi
          istituzionali  era  già  stato  arrestato  una  prima  volta,  era  «osservato»  da
          magistrati e investigatori, era noto a tutti per il suo ruolo negli equilibri
          mafiosi  del  territorio.  Nella  sua  città  e  in  provincia  di  Agrigento  era

          considerato da tutti un «uomo di rispetto» ed era ben conosciuto per tutto
          questo anche da Alfano e Cimino.
              Perché  lo  hanno  scelto  come  interlocutore,  uomo  di  fiducia,
          rappresentante politico e istituzionale?

              È la prima volta che una persona sommi direttamente in sé il ruolo di
          rappresentante di vertice della politica e della organizzazione mafiosa. E
          questo sicuramente segna una novità nella storia dei rapporti tra mafia e
          politica.


              Su queste, come su altre vicende, si ripropongono quindi interrogativi di
          fondo.
              La  nascita  di  Forza  Italia  in  Sicilia,  è  stata  solo  frutto  di  un  casuale

          incontro di interessi, storie, percorsi personali degli uomini che negli anni
          ne  comporranno  il  gruppo  dirigente  e  ne  articoleranno  la  struttura
          organizzativa  sul  territorio?  Possono  essere  considerate  accidentali  le
          vicende che nella loro vita personale e professionale li hanno visti coinvolti

          in rapporti diretti con uomini di Cosa nostra? O invece tutta la costruzione
          organizzativa di Forza Italia è stata funzionale a un progetto politico e a un
          blocco sociale e di interessi attraverso cui rigenerare un nuovo sistema di
          potere  dominante  nel  quale  non  solo  è  tollerata,  ma  è  una  delle  sue

          componenti organiche fondamentali, quella classe sociale che, già anni fa,
          un  politico  come  Mario  Mineo  e  un  sociologo  come  Umberto  Santino
          definivano come borghesia mafiosa?
              È compito della politica, al di là degli schieramenti, rispondere a questi

          interrogativi,  tornando  a  riflettere  sulla  società  e  sul  potere,  senza  farsi
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