Page 335 - Shakespeare - Vol. 4
P. 335
senza che le donne compiano metà
dell’opera? Siamo tutti bastardi,
e chissà dov’era, quando fui foggiato,
quell’uomo venerando che chiamavo padre.
Un falsario deve avermi contraffatto
con i suoi attrezzi; e tuttavia mia madre
pareva la Diana di quel tempo, come
del suo mia moglie − e senza pari.
Oh vendetta, vendetta! E quante volte
reprimeva il mio legittimo piacere, chiedendomi
frequenti astinenze. E lo faceva con un sì roseo
pudore che, a vederlo, perfino il vecchio Saturno
si sarebbe infervorato: tanto che la pensavo
casta come neve non sfiorata dal sole.
Oh, per tutti i diavoli! Quel misero ceffo, Iachimo,
in un’ora (o anche meno?) − così, a prima vista,
senza nemmeno dir parola, forse,
come un cinghiale tedesco satollo di ghiande,
ha fatto «O» e se l’è ingroppata. Non ha trovato
altro ostacolo che quello che cercava e che lei,
invece, avrebbe dovuto salvaguardare.
Potessi scoprire la parte di donna che è in me!
Perché ogni istinto che nell’uomo tende
al vizio, sostengo, da donna procede: da lei
la menzogna, notatelo, e la lusinga; e ancora
inganno, lussuria e pensieri immondi, tutti suoi.
Sua la vendetta, sua l’ambizione, la cupidigia e
gli eccessi dell’orgoglio; suo il disprezzo,
suoi i più strani ghiribizzi, le calunnie, la volubilità.
Tutte le colpe di cui sappiamo il nome − anzi, di cui
lo sa l’inferno, sempre sue: in parte o del tutto.
No, del tutto, giacché pure nel vizio mancano di
costanza, e cambiano sempre: un vizio d’un minuto
con uno più fresco della metà. Contro di loro
scriverò, per detestarle e maledirle. Ma esiste
una forma più artistica di odio: augurarsi che
ottengano ciò che vogliono. Ché nemmeno
il demonio saprebbe flagellarle meglio.