Page 1261 - Shakespeare - Vol. 4
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Veri devoti di Marte, il cui spirito in voi
               scaccia il seme della paura, e l’apprensione
               che da essa è ancora più remota, venite con me
               davanti al dio della nostra vocazione; a lui

               chiedete di concedervi il cuore del leone e
               il fiato della tigre, e la ferocia pure,
               e poi la rapidità − per premere, voglio dire;
               e non desiderare di essere lumache. Sapete che il mio premio

               sarà strappato dal sangue; forza e grandi imprese
               m’incoroneranno della ghirlanda in cui ella risiede
               regina dei fiori. La nostra supplica, perciò,
               va fatta a colui che farà del campo una cisterna

               colma di sangue umano; datemi il vostro aiuto,
               e chinate a lui il vostro spirito.
                   Si gettano a terra, quindi s’inginocchiano davanti all’altare di Marte.
               Tu possente, che col tuo potere hai tinto di porpora

               il verde Nettuno, il cui approssimarsi
               è annunciato da comete, le cui stragi in vasto campo
               son proclamate da teschi insepolti, il cui fiato distrugge
               la fertile messe di Cerere, che abbatti

               con mano possente da avanzanti nubi di battaglia
               le torri squadrate, che insieme fai e distruggi
               le cinte di pietra delle città; me tuo pupillo,
               ultimo seguace del tuo tamburo, istruisci quest’oggi

               nell’arte delle armi, sì che a tua lode
               avanzi il mio stendardo e io da te riceva
               il titolo di signore della giornata; dammi, grande Marte,
               un segno del tuo favore.

                   Qui si prostrano con la faccia a terra come prima, e si ode un rumore di
                 ferraglia, con un breve tuono come l’irrompere di una battaglia, quindi si
                                                                    alzano tutti e s’inchinano all’altare.
               O grande correttore di tempi disordinati,

               scuotitore di nazioni corrotte, grande giustiziere
               di polverosi e vecchi titoli, che curi col sangue
               la terra che s’ammala, e purifichi il mondo
               dall’eccesso di gente; ricevo

               i tuoi segnali come auspici, e nel tuo nome
               verso il mio intento m’avvio rinfrancato. Andiamo.
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