Page 1168 - Shakespeare - Vol. 4
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degno dell’occhio di un dio. Chi era il prigioniero che mi rispose
               quando chiesi i loro nomi?



              ARALDO
                               Con licenza, si chiamano
               Arcite e Palamone.



              TESEO
                               Giusto; son loro, proprio loro.

               Non sono morti?



              ARALDO
               No, ma neppure in vita; se fossero stati raccolti
               appena ricevute le ultime ferite, sarebbe
               stato possibile salvarli. Ma respirano ancora,

               e sono ancora tra gli uomini.


              TESEO

                               E tali allora trattateli.
               Anche la sola feccia di costoro vale milioni di volte
               il vino d’altri. Tutti i nostri chirurghi       39
               radunate per curarli; i nostri unguenti più preziosi,

               più che dosare, sprecateli; la loro vita ci preme
               molto di più di tutte le ricchezze di Tebe. Piuttosto d’averli
               liberi da questa condizione e com’erano stamane,
               sani e in libertà, preferirei che morissero;

               ma quarantamila volte meglio averli
               prigionieri nostri che della morte. Portateli subito via
               da questa nostra aria fresca, ad essi nociva, e fate per loro
               tutto ciò che umanamente si può − e per noi anche di più,

               poiché io so bene come terrori, furia, richieste d’amici,
               provocazioni d’amore, zelo, sfide della dama,
               desiderio di libertà, una febbre o una pazzia,
               hanno imposto fatiche cui la natura non arriverebbe

               senza una prepotenza, una malata ostinazione
               che supera in forza la ragione. Per amor nostro
               e per rispetto del grande Apollo, i nostri migliori
               offrano al meglio le loro cure. Guidateci in città,
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