Page 1173 - Shakespeare - Vol. 4
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l’ardita gioventù competere nei giochi dell’onore,
impavesati dei pegni sgargianti delle loro dame,
come alte navi a vele spiegate; e poi gettarci in mezzo a loro
e come il vento dell’est lasciarli tutti dietro a noi
quasi fossero nuvole pigre; così Palamone e Arcite,
muovendosi appena e con sprezzatura
superavano le lodi della gente, vincevano gli allori,
prima che ci venissero augurati. Mai più
noi due brandiremo, come gemelli in onore,
le nostre armi, o sentiremo i focosi cavalli
come il mare in tempesta sotto a noi! Le nostre buone spade adesso −
migliori non ne portò il dio della guerra dagli occhi insanguinati −
strappate al nostro fianco, come l’età dovranno arrugginire,
e ornare i templi di quegli dei che ci sono avversi;
queste mani mai più l’estrarranno come fulmini
per folgorare eserciti interi.
ARCITE
No, Palamone,
questi sogni sono prigionieri con noi; siamo qui,
e qui il fiore della nostra gioventù dovrà appassire
come una primavera prematura; qui si troverà la vecchiaia,
e − quel che è più doloroso, Palamone − senza famiglia.
I dolci abbracci d’una amorosa moglie,
carichi di baci, armati di mille cupidi,
mai circonderanno il nostro collo; e non conosceremo
discendenza; copie di noi stessi non vedremo mai
a rallegrare l’età matura, e come ad aquilotti insegnar loro
a scrutare arditamente verso bagliori d’armi, 44 e dire
“Ricordate quel che furono i vostri padri, e vincete!”
Fanciulle dal dolce sguardo piangeranno il nostro esilio,
e malediranno nelle loro canzoni la fortuna cieca,
finché, vergognandosi, ella vedrà il torto che ha fatto
a gioventù e natura. Questo è il nostro mondo;
non avremo altro da conoscere qui che noi stessi,
sentiremo solo l’orologio che conta le nostre disgrazie.
La vite crescerà, ma noi non la vedremo;
l’estate verrà, e con lei ogni delizia,