Page 1174 - Shakespeare - Vol. 4
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ma il morto e freddo inverno abiterà qui per sempre.



              PALAMONE
               Troppo vero, Arcite. I nostri levrieri tebani,
               che scuotevano l’antica foresta coi loro latrati,
               non dovremo più richiamare, né più impugnare
               i nostri acuti giavellotti, mentre l’infuriato cinghiale

               fugge come un turcasso pàrtico il nostro inseguimento,                    45
               trafitto da ben temprate frecce. Tutte le belle attività,
               cibo e nutrimento di animi nobili,

               in noi due qui si spegneranno; noi moriremo −
               che è la maledizione della fama − infine,
               figli del dolore e dell’ignoranza.



              ARCITE
                               Eppure, cugino,
               anche dal profondo di queste sventure,

               da tutto ciò che il fato può infliggerci,
               io vedo sorgere due consolazioni, due perfette benedizioni,
               se piacerà agli dei; tenere qui una coraggiosa pazienza,
               e usufruire delle nostre disgrazie insieme.

               Finché Palamone è con me, mi prenda un colpo
               se penso che questa è la nostra prigione.



              PALAMONE
                               Certamente,
               è una grande fortuna, cugino, che i nostri destini
               fossero appaiati l’uno all’altro. È verissimo, due anime

               poste in due nobili corpi, soffrano pure
               l’amarezza del fato, purché crescano insieme,
               non s’abbatteranno mai, non possono, e se pure fosse possibile,

               un coraggioso affronta la morte come il sonno, e tutto è finito.


              ARCITE

               E se facessimo buon uso di questo luogo
               che tutti gli uomini odiano tanto?



              PALAMONE
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