Page 102 - Shakespeare - Vol. 4
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Ecco come la buona fede è ingannata da un falso spettacolo! 304
Mentre la passione fittizia di costui
equivale all’antico autentico dolore, 305
e così Pericle, divorato dalla pena,
squassato dai respiri e dalle più grosse lacrime infradiciato, 306
lascia Tarso e di nuovo fa vela. Giura
di non lavarsi più il viso né tagliarsi i capelli,
si veste di tela di sacco, e via per mare.
Reca in sé una tempesta che scuote il suo vascello
mortale, 307 ma la sostiene e vive.
Ora vi prego d’ascoltare l’epitaffio
che per Marina è stato scritto
dalla malvagia Dionisa.
La più bella, dolce e buona creatura giace qui,
che nella primavera degli anni suoi appassì.
Del sovrano di Tiro ella era la figlia,
e l’orrida morte così presto la piglia.
Si chiamava Marina, e quando nacque,
Teti superba assai se ne compiacque
e si gonfiò inghiottendo parte di terra.
E la terra, per paura d’annegare,
la figlia di Teti volle al cielo consegnare;
onde Teti s’infuria, e giura che mai più arretra,
battendo spietata le coste di pietra. 308
Nessuna maschera meglio s’addice alla nera perfidia
quanto la tenera e dolce lusinga.
Che Pericle creda pure che sua figlia è morta
e lasci che ogni suo atto venga guidato
dalla Signora Fortuna, mentre la nostra scena
deve ora rappresentare il dolore di sua figlia
ed il suo grave tormento nell’empio suo servizio.
Dunque, pazientate, e d’esser tutti a Mitilene ora pensate.
Esce.
Scena V 309 EN
Entrano due gentiluomini.