Page 664 - Shakespeare - Vol. 3
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sopra la tonaca nera di un cuore orgoglioso. 11 Vado, state sicura. E Elena
invece ha da venire.
Esce.
CONTESSA
Era l’ora.
MAGGIORDOMO
Io so, signora, che voi amate profondamente la vostra dama di compagnia.
CONTESSA
Certamente. Suo padre me l’ha affidata, e lei stessa, indipendentemente da
ogni altra cosa, ha tutti i diritti di avere tutto l’affetto possibile. Vale più di
quanto è stimata, e più stima avrà di quanta ne chiederà.
MAGGIORDOMO
Signora, ultimamente le sono stato più vicino di quanto lei stessa volesse. Era
sola, e comunicava con se stessa, unica ascoltatrice delle proprie parole − lei
pensava, ci giurerei, che esse non fossero percepite da altri. Quello che
diceva era di amare vostro figlio. La Fortuna, diceva, non era una dea, se
aveva fissato una tale differenza fra le loro condizioni; e Amore non era un
dio, se il suo potere non si attua che quando i suoi soggetti sono di uguale
rango; e Diana non era la regina delle vergini, se lascia che il suo tenero
suddito venga conquistato, senza possibilità di salvezza, al primo assalto e
resti senza riscatto. Questo diceva lei nei toni più disperati di dolore che mai
abbia udito proferire da vergine. E di questo ho ritenuto mio dovere
informarvi prontamente, dato che, dovesse darsi un seguito funesto, vi
compete conoscerne le avvisaglie.
CONTESSA
Avete fatto bene il vostro dovere: ma tenetelo per voi. Molti elementi me
l’avevano già fatto notare, ma erano in equilibrio così incerto, che non sapevo
se crederci o non crederci. Vi prego, lasciatemi. Tenete ben segreto tutto
questo, e intanto vi ringrazio per la vostra onesta premura. Ne riparleremo
dopo.
Esce il Maggiordomo.
Entra Elena.