Page 666 - Shakespeare - Vol. 3
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Non lo sono.



              CONTESSA
               Dico che sono tua madre.



              ELENA
                               Perdonatemi, signora.
               Il Conte di Rossiglione non può essermi fratello:
               la sua è una casa onorata, la mia umile.

               Di nessuna nota i miei genitori; i suoi, nobili.
               Mio signore, mio caro padrone, lui, e io,
               finché vivo, sua serva e, alla morte, sua vassalla.
               Non può esser mio fratello.



              CONTESSA

                               Né io tua madre?


              ELENA

               Siete mia madre! Lo vorrei davvero −
               purché il mio signore vostro figlio non mi fosse fratello −
               che mi foste madre! Che foste madre di noi due −
               l’avrei caro non meno che del cielo −

               ma no sua sorella. Non c’è altra via
               che io, da vostra figlia, non abbia lui per fratello?



              CONTESSA
               Sì, Elena, potresti essere mia nuora.
               Non vorrai mica rifiutare! Queste “figlia”

               e “madre” ti rendono nervosa. Ma come, impallidisci?
               Il mio sospetto vede la tua passione. Capisco ora
               il mistero della tua solitudine, e scopro
               la causa delle tue lacrime salate. È tutto chiaro:
               ami mio figlio. Non c’è sfacciata simulazione

               che dica non è vero contro la certezza del tuo amore.
               Dimmi la verità: ma devi dire sì. Guarda: le tue gote
               se lo confessano a vicenda, e i tuoi occhi

               lo leggono così tangibile e nel tuo contegno
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