Page 640 - Shakespeare - Vol. 3
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L’ordine  naturale  delle  stelle  può  anche  essere  meccanicisticamente
          determinato, ma la libertà dell’uomo va al di là di tali impacci, eccetto che
          nella «nostra inazione». Nei punti chiave del dramma il tempo veramente si
          «tira  indietro»  come  se  il  cielo  restringesse  lo  spazio  all’azione  dei

          personaggi, e non per la loro passività, anzi al contrario.
          Analizziamo il paradosso formale del dramma: quella che appare come una
          ben  congegnata,  compatta  tragicommedia  in  cui  la  ragazza  ottiene  il  suo
          uomo, lo perde e lo ritrova, si rivela composta di due metà che sembrano

          violentemente congiunte senza alcun passaggio temporale. Si pensi a questo:
          c’è  solo  una  scena  fra  la  partenza  di  Elena  dalla  Francia  e  il  suo  arrivo  a
          Firenze. Shakespeare non ci invita a riflettere sul tempo intermedio: l’unica
          impressione  che  ne  abbiamo  è  di  una  “resistenza  a  dire”,  di  uno  stato

          piuttosto che di una sequenza di eventi. Quando il tempo riappare è nel tratto
          fra il bed-trick e la scena finale, il viaggio di ritorno a Rossiglione. In questa
          sezione conclusiva il tempo veramente si «tira indietro», quasi a riprendere
          l’insolenza  auto-affermatrice  di  Elena.  Ma  non  è  così:  la  pura,  ottusa

          contingenza, e non la Fortuna ammaestratrice, ritarda l’azione; il freno alle
          intenzioni di Elena non è determinato dal suo essere “inattiva” o esigente.
          Nella  prima  parte  del  dramma  Elena  cerca  di  congegnare  una  commedia
          miracolosa  e,  nella  seconda,  opera  per  l’effetto  potenzialmente  redentore

          della  tragicommedia.  In  nessuno  dei  due  casi  ha  successo:  le  cose  si
          oppongono al suo desiderio.
          Il  vuoto  al  centro  del  dramma  nega  la  necessità  della  tragicommedia:  il
          secondo intreccio è azionato per caso, messo in moto dalla mano invisibile

          del  desiderio  di  Elena.  Non  possiamo  sapere  se  essa  abbia  o  no  seguito
          Bertram consciamente poiché lei stessa non lo sa, agendo come fa sotto la
          spinta del bisogno. In effetti, la conclusione del dramma è il risultato di forze
          operanti nei personaggi: essi possono sì averne la consapevolezza, ma non il

          controllo.  Questo  è  certamente  un  effetto  psicologico  peculiarmente
          moderno,  seppure  esposto  a  molte  obiezioni  strutturali.  Non  a  caso,  si  è
          detto, il “livello” della tragicommedia è raggiunto malgrado personaggi che
          restano opachi fino alla fine: una fine che non lascia contento nessuno, si può

          dire.
          Sul  “nodo”  di  questo  finale,  molti  critici  annotano  che,  sul  più  bello,
          Shakespeare  avrebbe  fatto  uso  di  una  forma  più  arcaica  e  schematica  di
          costruzione del personaggio, dopo aver messo in opera un contesto elaborato

          e  ampiamente  articolato.  Altri  hanno  addossato  la  colpa  proprio  a
          quest’ultimo, convinti che la novella del Boccaccio (che costituisce una delle
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