Page 382 - Shakespeare - Vol. 3
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Amleto sappia della presenza in ascolto del re e di Polonio. Lo eavesdropping riesce perfettamente.

              32 III,  ii.  È  tutta  dominata  dal  «teatro  nel  teatro»,  in  sé  un  espediente  convenzionale  piuttosto
                 comune. Qui la finzione inscenata per cogliere il vero in un mondo che è anch’esso finzione e teatro
                 non sembra raggiunga il suo scopo, l’allontanarsi del re può avere vari significati, e soltanto Amleto
                 appare istericamente soddisfatto dell’esito. Il suo amico Orazio sembra molto più pacato e meno
                 persuaso. Si potrebbe sostenere che la «trappola per topi» funzioni al contrario di come progettata
                 da Amleto, smascherandolo agli occhi del re.

              33 III,  ii,  1-45.  Consigli  di  Amleto  agli  attori.  Amleto  è  il  principe  e  cortigiano  del  Castiglione,  gran
                 dilettante e competente delle arti. I suoi consigli agli attori (non agli autori di teatro) sono conformi
                 alle  idee  correnti  (Jenkins):  si  fondano  sulla  antica  idea  della  mimesi,  e  su  concetti  rinascimentali:
                 l’arte  che  interpreta,  conquista  e  scopre  la  natura,  l’arte  che  è  abilità  di  mestiere,  sprezzatura,
                 competenza e perfezione che non si fa notare (Montaigne), l’arte che è utile e morale. Amleto non
                 è  rivoluzionario,  è  assolutamente  tradizionale.  E  i  concetti  che  esprime,  a  rigore,  non  illuminano
                 affatto  il  mondo  scespiriano,  anche  se  forse  corrispondono  alle  opinioni  e  intenzioni  dell’autore
                 esterno. Si noti che Amleto, nel consigliare il controllo delle passioni, guarda sempre a un modello
                 che  è  incapace  di  imitare.  Di  nuovo  la  scena  è frame-breaking,  opera  un’irruzione  del  mondo
                 esterno nel mondo drammatico, ma del resto un’opera d’arte non è una sfera nettamente distinta
                 e separata dalla realtà, piuttosto sfuma nebbiosamente verso l’esterno.

              34 III,  ii,  54  sgg.  La  presentazione  di  Orazio  come  modello  stoico  segue  naturalmente  ai  consigli  di
                 controllo dati agli attori. Sintesi perfetta degli elementi e delle facoltà della persona, non schiavo delle
                 passioni o «gonzo della vita», Orazio è naturalmente un modello interno al sottomondo di Amleto, il
                 rovesciamento  dell’uomo-quintessenza  di  polvere  che  pure  a  quel  sottomondo  appartiene;  ed  è  il
                 modello al quale, alla fine, Amleto proverà ad uniformarsi. Il personaggio in sé è invece, come è
                 stato notato, inerte e scialbo, e non sembra esemplare.

              35 III,  ii,  123.  «O  God,  your  only  jig-maker».  H.  Levin  considera  la  battuta  «un’esclamazione
                 blasfema, Dio è l’artefice più abile, il commediografo per eccellenza, e la vita è una farsa.»
                 Yves Bonnefois traduce: «Oh Dieu, Roi des farceurs.» Tradizionalmente, le parole sono considerate
                 una riflessione di Amleto su se stesso. Ma l’espressione è comunque semanticamente ambigua. Ho
                 seguito la lettura di Jenkins, che interpreta «champion maker of merriment».

              36 III, ii, 133 didascalia. Sulla problematica della pantomima rimando alla «longer note» del Jenkins, p.
                 501 sgg.

              37 III,  ii,  150.  C’è  un  errore,  da  nessuno  notato,  nel  primo  verso  del  Re-Attore,  che  indica  trenta
                 giorni, e non trent’anni come dovrebbe.

              38 III, ii, 219. «If she should break it now.» Altra espressione di cui ho cercato di rendere l’ambiguità.
                 Può  riferirsi  alla  Regina  del  play-within-the-play,  ma  anche  alla  Regina  Gertrude,  che  potrebbe
                 interrompere la recita.
              39 III, ii, 238 didascalia. Luciano, nipote del re-attore, rimanda alla condizione di Amleto.

              40 III, ii, 259. «The King rises.» Non necessariamente tradendo la propria colpa, se non agli occhi di
                 Amleto. Può alzarsi offeso e infuriato per le implicazioni dello spettacolo, e così penseranno tutti.

              41 III, ii, 356-7. Buon ammonimento per i critici che vorrebbero strappare ad Amleto il cuore del suo
                 segreto e suonarlo come un piffero.
              42 III, ii, 378. «Leave me, friends.» Si noterà la tecnica artificiosa per rendere possibile il soliloquio, uno
                 dei tanti difettucci di questo capolavoro. E v. anche IV, iv, 31. Il breve soliloquio, con tutte le sue
                 assonanze  con  Macbeth  e  l’importanza  del  contenuto  (Nietzsche:  «Chi  combatte  contro  i  draghi
                 diventa un drago lui stesso» − ed è lampante la sublimazione del desiderio di uccidere la madre),
                 non è certo composto di versi esemplari.
              43 III,  iii.  È  la  prima  di  una  serie  di  scene  orribili  (fino  a IV,  iii)  in  cui  Amleto  è  davvero  portatore  di
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