Page 379 - Shakespeare - Vol. 3
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giustifica affatto la prima, anzi sembra un tentativo di trovar giustificazione, di trovare una ragione,
una Dike, alla propria malinconia. E Amleto la troverà in pieno nell’incontro col fantasma. Amleto
s’inganna, Amleto non capisce se stesso, e neanche Shakespeare lo capisce, è un genio troppo
grande per cadere nella presunzione e illusione di poter capire un essere umano. Egli lo sente così e
lo mostra. In realtà Amleto vive con dolore l’oscura esperienza, l’esperienza metafisica (v. II, ii,
363-64) della mutabilità, e la assolutizza. Dal mondo sono sparite le virtù aristocratiche, lealtà,
devozione, fedeltà, costanza. Nel vuoto che lo circonda Amleto si aggrappa al pundonor, al culto del
ghenos, al disprezzo nobiliare per la natura letamaio di sostanze chimiche, per il comune homo
faber, per il destino dell’uomo nello stato del Grande Lupo amico dei borghesi e nemico dei nobili.
Amleto rifiuta il mondo «freddo» di Machiavelli, di Bacone, di Hobbes, ma le sue virtù «calde» sono
ormai inattive. Questa dolorosa scoperta dello sfacelo del suo mondo suona nella battuta a Orazio:
«Risparmio, risparmio, Orazio...» (I, ii, 180) e riecheggia in tutto l’incontro col fantasma, anzi in
tutto il dramma. Nel mondo abietto del tradimento e dell’abbandono non ci si può più fidare di nulla e
di nessuno, e tutto per lui comincia a morire. Ma si ricordi Proust, «le chagrin est une forme
d’égoisme», la tristezza può essere smodata come ogni altra passione. Ma questo primo soliloquio
pregno dei motivi centrali della tragedia non mette affatto in dubbio la buona fede e l’integrità di
Amleto, il suo carisma e la sua innocenza. Solo che questa innocenza è furibonda e assassina, il suo
idealismo un fanatismo (III, iv, 180: «Devo essere crudele solo per essere gentile»). La sua è una
lucida allucinazione, una positività negativa.
14 I, ii, 204-205. «distill’d / Almost to jelly». Una traduzione letterale cadrebbe sotto la giurisdizione del
ridicolo.
15 I, iii. La scena mostra la faccia comica della tragedia, la famigliola serena e unita che sarà distrutta
da Amleto. Ofelia è per Amleto la tentazione della commedia, e per l’Amleto una potenzialità
irrealizzata − quella auspicata dalla regina e dal re − di risolvere l’atmosfera tragica in clima comico, il
destino tragico in destino comico, se mai questo fosse possibile. Ma a questa possibilità si
oppongono il fato, il caso, il démone dell’eroe tragico. Il destino ha già pensato a negare a Ofelia le
doti di iniziativa e di forza delle eroine comiche, a fare di lei una supplice destinata al suicidio come
inconsapevole, desolata, passiva, notturna sconfitta interiore, ritorno all’acqua e alle tenebre
originarie (Starobinski). Polonio fa da coro greco, esprime i luoghi comuni del buonsenso scritti,
nell’epoca di Shakespeare, da tanti vecchi intelligenti: li elenca Jenkins, notando che è un errore
supporre che le massime di Polonio siano intese, malgrado l’enfasi e la pedanteria, come
esclusivamente ridicole. Qui la grettezza, casomai, è del giovane Laerte, nella sua amorosa tirannia,
nella sua odiosa sicumera, nella sua idea ripugnante della donna come creatura destinata alla
sottomissione, tutte cose che Ofelia accetta passivamente. In bocca a Laerte il famoso motivo
dell’ordine e della gerarchia si colora di falsa coscienza e di inconscio egoismo. Nessuno si salva del
tutto nel mondo di Shakespeare. Intanto si costruiscono tre visioni cangianti di Amleto. Quanto
all’amore di Amleto e Ofelia, esso è mostrato nei sottomondi contraddittori dei personaggi, ed è
difficile dire se ci sia e cosa sia, ma certo esso è mostrato nel suo morire.
16 I, iv e v. La prima scena comincia con una tiritera moralistica di Amleto. Il marcio in Danimarca si
riduce al troppo alzare il gomito? Ma il principe lo esagera «out of all proportions»: che meravigliosa
intuizione di un eroe sbagliato e senza vocazione! Ma appare lo spettro e scatta la domanda tragica:
che fare? Amleto è sconvolto dall’estasi che dà il numinoso, è trascinato da qualcosa che è
infinitamente più forte di lui. L’estasi lo abbatte e nello stesso tempo lo rende euforico e
bizzarramente scherzoso, lo lascia libero di decidere e nello stesso tempo segna il suo destino. Il
messaggio della vendetta, anticipato dal suo animo profetico, è assorbito immediatamente. Il
fantasma, erinni e démone ctonio, circondato da fumi sulfurei, si positivizza in un attimo, diventa
amore e dovere e passione. È qui che Ofelia è distrutta e si manifesta la «follia» di Amleto. Spinto
da un ambiguo trascendente a qualcosa che è giusto e ingiusto, Amleto, libero e non libero, sceglie
la necessità, accetta il fato, «asseconda la sorte» (Agamennone, 187), «mette il collo nel collare
della necessità» (ivi, 118). Da questa scena Bradley e Kitto fanno partire la loro interpretazione di