Page 376 - Shakespeare - Vol. 3
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Note







               1 I,  i.  «Le  potenze  notturne  della  tragedia  attaccano  all’improvviso»  (Hegel).  La  scena,  tipica  degli
                 incipit corali scespiriani, e per la quale è stato ricordato l’avvio notturno dell’Oresteia, instaura subito
                 la tensione e l’ironia tragiche. Ciò che si avvia è in effetti il culminare di una vicenda che ha visto
                 l’assassinio del Re Amleto. Si noti la forza anticipatoria di quel «Lunga vita al re!» e della battuta di
                 Francisco, «ho la morte nel cuore» che non pare potersi riferire solo al freddo: Jenkins parla di una
                 «malinconia» di Francisco. La scena si articola su due registri stilistici, quello concitato delle battute
                 «a sticomitia», e quello riflessivo dei momenti più calmi: questo tono discorsivo e rasserenato sfocia
                 infine nel momento lirico-corale delle ultime battute, dove la liberazione dell’immagine è connessa alla
                 positività e alla sacralità della luce. Per il fantasma enigmatico vedi note alle scene iv e v. Qui «la
                 cosa» è connessa a segni di negatività: l’angoscia e il terrore del numinoso, la notte, l’apparenza,
                 l’illusione, l’inganno, i presagi sinistri, i preparativi di guerra, il malessere del momento. In contrasto
                 alla «cosa» tutti i segni positivi, il giusto riposo notturno, la pace, l’attesa del mattino, il gallo che lo
                 annuncia, il tempo sacro e grazioso del Natale, la luce. Lo spettro è sacer nel suo doppio senso.
                 Amleto è appena nominato ma già il suo destino è segnato, e da ogni lato si vuole e si prepara il
                 suo contatto col trascendente. Due notazioni formali: le incoerenze che segnalerò nelle note, e l’uso
                 tipico dell’Amleto (e dello stile elisabettiano dei traduttori studiato da F.O. Matthiessen in  Translation,
                 An Elizabethan Art, 1931, New York 1965) dei doublets o endiadi o duplicazioni di parole, di frasi, di
                 personaggi  ecc.,  che  Jenkins  non  rileva.  Solo  qualche  esempio  ai  vv.  71  (gross  and  scope),  74
                 (strict and most observant), 90 (law and heraldry), 96-7 (cov’nant and carriage), 102 (food and
                 diet),  110  (post-haste  and  rummage),  116  (high  and  palmy),  119  (squeak  and  gibber),  125-6
                 (harbingers... and prologue), 131 (sound or use of voice) ecc. È un uso che può associarsi a una
                 ricorrenza  di  schemi  binari  (ma  poi  anche  ternari)  in  tutto  il  lavoro,  uno  sdoppiamento  o
                 moltiplicamento ossessivo che Levin connette con gli equivoci, i doppi sensi, il discorso e l’agire doppi
                 della tragedia.

               2 I,  i,  13.  Bernardo  sa  che  i  suoi  compagni  di  guardia  saranno  Marcello  e  Orazio.  Ciò  sembra  in
                 contraddizione con le battute dei due (vv. 16-29) che invece paiono implicare che il cambio non è
                 stato previsto.
               3 I, i, 22. «A piece of him». Cioè, ciò che ne resta. La mano (Warburton, Jenkins), o la parte del suo
                 corpo non ancora resa insensibile dal freddo, o la parte della sua attenzione e del suo interesse per
                 la storia del fantasma, dacché Orazio sembra qui credere al fato naturale e astrologico (vv. 115
                 sgg.) non a quello soprannaturale e divino. Oppure, secondo altri, solo un modo di dire scherzoso.

               4 I, i, 64. Jenkins nota la inconsistency: come può Orazio riconoscere un’armatura usata trent’anni
                 prima?

               5 I, i, 65-66. Famosa crux. Traduco la lezione del Jenkins. Ma altri, in modo più convincente, legge
                 «sleaded poleaxe». Così il curatore della New Penguin Edition che interpreta «scagliò sul ghiaccio la
                 sua mazza piombata». Per Kittredge e Jenkins si tratta invece di una discussione che degenera in
                 battaglia, e il Re rovescia i polacchi con le loro slitte. Jenkins addirittura interpreta sia speak che parle
                 come «battagliare, battaglia». Interessa notare che in questa e nelle sue battute successive Orazio
                 comincia a costruire il suo sottomondo, che collima con quello di Amleto: il re morto è idealizzato,
                 quasi divinizzato, in opposizione a Claudio su cui si ammucchiano le negatività. Nella mimesi teatrale
                 opposta  alla  diegesi  narrativa  ogni  giudizio  appartiene  alle  visioni  dei  personaggi  (visioni  credute,
                 sperate, volute, passionali, ma non necessariamente vere) e non al conflitto tra questi sottomondi
                 diversi che è il mondo drammatico, né tantomeno al mondo esterno (all’opinione dell’autore). Il Re
                 morto è grandioso soltanto agli occhi di Amleto e dei suoi amici.
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