Page 380 - Shakespeare - Vol. 3
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Amleto come «tragedia religiosa» (!): il fantasma sarebbe per loro un messaggero della Provvidenza
                 (che razza di provvidenza!).
              17 I,  iv,  81.  «My  fate  cries  out».  Vedi  Socrate  nel  Fedone (1152):  «E  ora  il  fato  mi  chiama,  come
                 direbbe un poeta tragico».

              18 I, v, 9-91. Discorso del fantasma. Il fantasma non ha di se stesso la buona opinione che ne ha il
                 figlio,  ma  le  sue  pene  purgatoriali  renderanno  più  crudeli  i  progetti  vendicativi  di  Amleto.  Tutta  la
                 scena v è segnata da lungaggini, da una concezione popolare-medievale dell’aldilà − Marlowe era
                 stato più moderno ed efficace nel far dire a Mefistofele: «L’inferno è qui, non ne sono fuori» − da
                 difetti  tecnici  nelle  battute  e  nei  movimenti  dei  personaggi  minori,  ma  tutte  queste  pecche  sono
                 travolte  nell’impeto  della  concezione.  Per  la  scena  del  giuramento  scandita  dalla  voce  sotterranea
                 dello spettro, Jenkins nota giustamente che la sua funzione è proprio nella sua inspiegabilità: «una
                 misteriosa sequela prolunga l’effetto terribile dell’apparizione». Anche la giocosità allucinata e isterica
                 di Amleto contribuisce all’effetto sinistro e inspiegabile.
              19 I, v, 196-7. Per questo distico famoso vorrei ricordare l’interpretazione, tanto in anticipo sui tempi, di
                 Nietzsche  all’inizio  della Nascita  della  tragedia  (1876):  «L’uomo  dionisiaco  assomiglia  ad  Amleto:
                 entrambi hanno gettato una volta uno sguardo nell’essenza delle cose, hanno conosciuto, e provato
                 nausea di fronte all’agire; giacché la loro azione non può mutare nulla nell’essenza eterna delle cose,
                 ed essi sentono come ridicolo o infame che si pretenda da loro che rimettano in sesto il mondo che
                 è  fuori  dai  cardini.  La  conoscenza  uccide  l’azione,  per  agire  bisogna  essere  avvolti  nell’illusione  −
                 questa è la dottrina di Amleto, non già la saggezza a buon mercato di Hans il sognatore, che non si
                 decide ad agire per troppa riflessione... non è la riflessione, certo, è la vera conoscenza, è la visione
                 della verità raccapricciante, che prepondera su ogni motivo sospingente all’azione, tanto per Amleto
                 quanto  per  l’uomo  dionisiaco».  Questo  motivo  amletico  riemerge  nel Macbeth  (per  es. III,  ii,  16
                 sgg.).

              20 II, i, 87-100. Récit di Ofelia. Questa prima descrizione della pazzia di Amleto vista nella coscienza di
                 Ofelia ne indica alcune spiegazioni possibili e contraddittorie: il comportamento esasperato e straziato
                 di  Amleto,  quasi  figura  speculare  del  fantasma,  può  essere  finto  (perché  egli  vuole  obbedire  al
                 comando dello spettro e tenere la promessa di non avere altri pensieri o impegni tranne la vendetta,
                 o perché vuole staccare da sé una donna che egli sospetta di collusione coi suoi nemici ecc.), o può
                 essere sincero, e anche «un addio disperato» (Jenkins) (per gli stessi motivi, o perché egli proietta
                 su Ofelia la negatività della madre ecc.) e può essere involontario (perché è in preda alla nausea o
                 alla  depressione)  e  così  via.  Polonio  opta  per  il  mal  d’amore,  ipotesi  possibile  ma  fragile  perché
                 fondata  sulla  sua  ignoranza  dell’incontro  col  fantasma,  e  segue  questa  pista  urtando  contro  i
                 sottomondi del re e della regina.
              21 II, ii. Incontro al principe vengono gettati, per così dire, sempre più personaggi, in un crescendo che
                 culmina nella scena affollata del récit dell’attore, e si spegne nella solitudine del secondo soliloquio.
                 Da notare che su Rosencrantz e Guildenstern si proietta, o almeno si proiettava fino al bel dramma
                 di Stoppard (Rosencrantz and Guildenstern are dead) la negatività di Claudio, e obliterava del tutto
                 la loro situazione di vittime risucchiate dal vortice della tragedia.
              22 II,  ii,  109-123.  La  lettera  di  Amleto  è  evidentemente  una  parodia  d’una  lettera  d’amore,  ma  le
                 intenzioni di Amleto diventano ancora più enigmatiche.
              23 II,  ii,  181-5.  Il  discorso  della  «follia»  di  Amleto  è  di  tipo  associazionistico.  Il  sole  feconda  la  terra
                 corrotta, quindi è corruttore. Esso trova buona da baciare, visto che la bacia, la carcassa piena di
                 vermi. O per converso la carcassa è buona da baciare per i vermi che la divorano. Carrion è anche
                 la carne viva, quindi si associa all’immagine lasciva di Ofelia. Anche la sua carne può essere corrotta
                 e fecondata dal sole.
              24 II, ii, 205. Il metodo intuito da Polonio è in fondo quello di L. Carroll e dell’assurdo. Il discorso logico,
                 decontestualizzato, viola le regole della comunicazione.
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