Page 1231 - Shakespeare - Vol. 3
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discorso Otello tenta di rappezzare i frantumi della propria personalità e
identità; ma è pur vero che è uno sforzo parossistico di riconquistare la
nobiltà irrimediabilmente perduta, di rappresentarsi ancora una volta agli altri
ammantato di una «virtù» e di una acculturazione ormai distrutte. Iago si
rinchiude nella negazione assoluta, non parla più (vv. 304-305); Otello, che
ha ripreso a parlare e forse a credere a se stesso dopo l’offuscamento, può
solo suggellare col colpo che si infligge la cecità di una condotta esaltata,
d’una credulità fin troppo facile, d’una forza che si rivela debolezza.
«Relate» è l’ultima parola del dramma; Otello detta agli astanti come riferire
di sé quasi fossero giornalisti; «Tush, never tell me» sono le parole iniziali. La
questione del dire, riferire, comunicare − ossia del linguaggio − è
fondamentale nel dramma, e costitutiva della sua stessa trama. È forse il
dramma dove Shakespeare differenzia maggiormente le «voci» dei
personaggi e fa del linguaggio come veicolo di comunicazione compromesso,
pervertito e infranto, uno degli elementi portanti.
Si è visto che Otello parla il linguaggio dell’alta retorica rinascimentale; è un
linguaggio con immagini mitologiche e aperture cosmologiche, spesso di
elevata poesia, quella che è stata chiamata la «musica» di Otello (G.W.
Knight). È però anche il linguaggio un po’ forzato e artificiale dell’acculturato
in un paese non suo e che quindi «carica» gli elementi acquisiti, usa parole
grosse e iperboli. Onde certa teatralità anche verbale di Otello, sia nei
momenti di fulgore e affermazione (Atti I-II), sia nei momenti finali della
tragedia in cui tenta di ritornare se stesso dopo la distruzione della sua
«musica». Alla poesia maestosa, altisonante, formale, ponderosa di Otello si
oppone la «prosa» (anche quando parla in versi) di Iago. La «voce» di Iago è
tutta di testa, pensata, intellettuale, mentale, consapevole e controllata (self-
conscious), cinica e critica: da un lato può avvicinarsi a toni eufuistici (I, iii,
319-334; II, i, 220-266), dall’altro è più spesso terrena, brutale,
antiromantica, zeppa di doppi sensi e riferimenti sessuali espliciti, popolare,
da caserma, con imprecazioni e bestemmie − in opposizione sia alla
«musica» di Otello sia al linguaggio cortese e cortigiano, platonico e
idealizzante di Cassio. La voce di Iago riporta tutto sulla terra e nel fango −
donne e sentimenti, aspirazioni ed ideali, reputazioni e valori − con una
volgarità che tende costantemente a degradare tutto a bestialità e
putridume. Il suo contrasto con la voce di Cassio è evidente e insistito: alla
donna angelicata di questi, Iago oppone la donna come cosa e sentina di ogni
vizio; e analogamente, ma in modo più subdolo e indiretto, farà con Otello. È
il cinico e il materialista per cui la guerra è un mestiere e non una vocazione