Page 1234 - Shakespeare - Vol. 3
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l’accampamento intero che si gode Desdemona, la «lewd minx» di III, iii, 482,
          i rettili e i serpenti, i rospi che si accoppiano e proliferano nelle cisterne, le
          mosche che pullulano dal putridume dei macelli (IV, ii, 67-68), fino alla sua
          terribile  esclamazione  di  disgusto  «Goats  and  monkeys»  (IV,  i,  259),  che

          ripete le stesse parole di Iago. La sua visione della realtà (!) è ora costruita
          con le immagini stesse di Iago.
          Le altre voci del dramma sono, che piaccia o no, in rapporto di dipendenza
          con queste. Quella del Doge è la voce scialba del potere (più autorevole, la

          vera  voce  di  Venezia,  è  semmai  quella  di  Lodovico).  Quella  di  Cassio  è  la
          voce  del  petrarchismo  cortese,  destinata  a  giocare  un  ruolo  comunque
          subordinato, ai margini: Cassio non sembra capire mai bene quello che sta
          infatti succedendo. Quella di Roderigo è la voce del «gentiluomo gabbato» −

          querula e stridula, voce di ben piccola dissonanza dinanzi al grande untuning
          di  ogni  musica,  rapporto,  comunicazione,  di  Iago.  Resta  il  trio  femminile.
          Bianca  ha  la  voce  anch’essa  querula  e  piagnucolosa  di  una  rotellina  in  un
          ingranaggio più grande di lei. Interessante è la voce di Desdemona − che è

          poi il modo di rivelarne la natura: quieta e pacata, equanime («I do perceive
          here  a  divided  duty», I,  iii,  181)  al  suo  apparire;  gradualmente  assertiva
          quando  vuol  seguire  il  marito;  apprensiva  in  sua  assenza  (II,  i),  partecipe
          della  sua  gioia,  ma  poi  come  volutamente  in  ombra.  È  donna  di  casa  ma

          volitiva  sui  suoi  diritti  di  moglie,  che  pure  assolutizza  l’amore;  non  troppo
          sveglia  quando  implora  per  Cassio,  è  incapace  di  cogliere  subito  ciò  che
          tormenta  il  marito.  Perché  è  troppo  innocente:  ma  c’è  anche  in  lei  una
          comunicazione mancata o negata. Nel suo confronto con Otello irato si chiude

          in se stessa quasi per incapacità di comprendere; fin troppo obbediente, è
          come  soverchiata.  Si  arrende  subito  alla  propria  condizione  di  accusata
          ingiustamente, e come si è visto subisce una sorta di regressione infantile che
          la fa parlare e agire da bambinetta − non più come la volitiva (né tanto meno

          «smaliziata»)  donna  veneziana.  Con  Emilia  non  può  credere  ai  tradimenti
          delle  donne  e  si  rifugia  nel  patetismo  della  canzone  del  salice.  Mente  due
          volte − leggermente sul fazzoletto, incongruamente in punto di morte, per
          difendere Otello: ma nella scena finale, chi può non soffrire come lei per la

          sua  sorte?  Lì  veramente  la  tragedia  tocca  la  corda  dell’emozione  e  della
          sofferenza quasi insostenibile, come per Cordelia. Desdemona risponde con
          voce umana alle troppe voci sfalsate. Quanto a Emilia, la sua è in parte la
          voce della Balia in Romeo and Juliet, in parte la voce della saggezza comune:

          a  lei  è  dovuto  il  riconoscimento  della  normale  natura  della  donna,  né
          angelicata  né  diavolo  libidinoso.  Anche  lei  è  incapace  di  comprendere  la
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