Page 1237 - Shakespeare - Vol. 3
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Bianca,  perché  la  fragile  trama  di  Iago  venisse  sventata.  Ma  non  accade:
          noncuranza  del  drammaturgo,  o  è  perché  nel  profondo  opera  in  realtà  la
          spinta cieca del destino, «vero signore dell’Immaginario, più potente di Iago»
          (N.  D’Agostino)?  O  è  perché  siamo  nel Theatro Mundi, al fondo dell’abisso,

          sotto un cielo vuoto (Otello ha infatti evocato un’eclissi, in V, ii, 100-101), già
          vicini al nulla, come vuole Jan Kott, che pure ha analizzato i paradossi che
          operano in Othello?
          Vediamo comunque un ultimo paradosso, quello attraverso il quale, con un

          perfetto  esempio  di  comunicazione  (o trance)  teatrale,  Shakespeare  ci  fa
          apparire come ineluttabili un groviglio e una trama che a ben guardare fan
          acqua da tutte le parti. Nella sua linearità e continuità, si è detto, l’azione a
          Cipro,      dal II     al V  Atto,  occupa  neanche  36  ore:  è  concretamente,

          materialmente impossibile che Desdemona abbia il tempo, il luogo e il modo
          di  commettere  l’adulterio  di  cui  viene  accusata  e  per  cui  viene  uccisa.  È
          perché abbiamo un testo corrotto, mal rivisto, ricostruito, frettoloso? Potrebbe
          essere.  Ma  se  non  ci  pensa  Otello,  non  se  ne  accorgono  neppure  lettori  e

          spettatori.  È  stato  allora  suggerito,  fin  dal  1850,  che  Shakespeare  abbia
          volutamente adottato un «doppio schema temporale». Uno è il tempo reale,
          breve, dell’azione, che deve puntare sulla rapidità travolgente, per impedire
          che Otello o altri abbiano tempo e modo di accorgersi dell’inganno. L’altro è

          un  tempo  lungo,  psicologico,  che  Shakespeare  introduce  nei  dialoghi  e  nei
          discorsi  dei  personaggi  per  rendere  a  quel  livello  credibile  l’incongruo  −  le
          mille  volte  che  Desdemona  si  sarebbe  abbandonata  alle  ore  segrete  di
          lussuria  (e  quando  mai,  se  è  appena  arrivata  e  le  nozze  non  sono  state

          ancora  consumate?),  la  settimana  che  Cassio  avrebbe  passato  lontano  da
          Bianca  (ma  è  appena  arrivato  anche  lui),  e  così  via.  Queste  allusioni  a  un
          tempo  più  lungo  servirebbero  a  dilatare,  nell’impressione  di  lettori  e
          spettatori,  i  tempi  dell’azione,  rendendo  credibile  lo  svolgersi  degli  eventi

          prospettati nel breve e concitato tempo reale a disposizione, che di per sé ne
          esclude la possibilità.
          Questo del doppio tempo − questo confondere il tempo reale con un diverso
          tempo  mentale  e  psicologico  −  sarebbe  allora  l’ultimo  paradosso  di

          Shakespeare, ma da vero artista del teatro, non come il falso manipolatore di
          un  intrigo:  rendendo  cioè  possibile  la  comunicazione  e  la  ricezione
          dell’impossibile. Qui la comunicazione − quella di Shakespeare − asserisce i
          suoi diritti e la sua piena validità, in una tragedia che si basa tutta sulla sua

          illusorietà e mendacia.
                                                                                                  SERGIO PEROSA
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