Page 1230 - Shakespeare - Vol. 3
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Merchant of Venice, secondo un punto di vista che finalmente concilia e
risolve la dicotomia fra visione puramente angelicata (Cassio) e visione
puramente demoniaca (Iago) della donna.
In Desdemona già Thanatos si mescola e si sovrappone all’Eros: il suo
definitivo prevalere si attua nell’Atto V. La prima scena registra il precipitare
di ferimenti e morti dovuto all’intrigo esteriore (Cassio, Roderigo) ed è una
scena notturna di confusione e inganni: la seconda, lunghissima, è divisibile
in due momenti. Il cerchio e la prospettiva si sono ristretti, siamo all’interno
della stanza di morte dove Otello, dopo uno straziante e vaneggiante
soliloquio, soffoca Desdemona, che proclama la sua innocenza e
umanissimamente implora per la propria vita. Su quella morte piomba troppo
tardi Emilia, per cogliere dalle labbra di Desdemona la confessione di un
suicidio (menzogna in punto di morte che, secondo le credenze dell’epoca,
dovrebbe condurla dritta all’inferno, e perciò tanto più tragica), e scatenarsi
in una veemente denuncia di Otello. Otello l’ascolta annichilito: reso
finalmente edotto del proprio errore, vaneggia, si nega, si comporta da
buffone (v. 323). Non è più lui, ma un altro; è divenuto uno «schiavo»,
«ignorante come merda» (v. 165), lo schiavo di Iago di cui era un tempo
padrone. Si è completata l’inversione dei ruoli iniziata nella scena della
seduzione (III, iii). Persa la dignità di soldato, distrutta la sua identità, anche
il discorso di Otello si riduce a mera interiezione spezzata, urlo strozzato in
gola, singhiozzo («O! O! O!», v. 199): qui, come in altre tragedie,
Shakespeare spinge il linguaggio verso le regioni estreme dell’inarticolato.
Restano le altre morti, e poi una sorta di «ripresa» di Otello, dovuta forse alla
convenzione tragica, che richiede una nobile fine e una sorta di catarsi
dell’eroe, o forse − come hanno creduto di vedere alcuni critici, da F.R. Leavis
a Traversi a T.S. Eliot − allo sforzo di Otello per sostenere un’ultima volta la
propria self-dramatization. Otello muore su un bacio, suggellando con una
pessima rima (vv. 359-360) l’unione di amore e morte, la congiunzione di
Thanatos e Eros, che percorre come un secentesco Leit-motiv la parte finale
della tragedia. Ma prima erra con la spada in mano alla ricerca del suo
estremo traguardo (vv. 268-270) e tiene la sua ultima tirata («Soft you, a
word or two», vv. 339-357), nella quale non solo detta come vorrebbe fossero
riferiti i suoi fatti e interpretati i suoi gesti, ma si rappresenta nell’atto eroico
con cui ha ucciso il Turco che offendeva un veneziano «in Aleppo once»,
facendo coincidere il ricordo verbale con il nuovo atto di violenza, questa
volta su se stesso, «Thus»: ed è uno dei casi in cui parola evocativa e gesto
presente, racconto e azione, coincidono. È in parte vero che in questo