Page 1223 - Shakespeare - Vol. 3
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tradimento ecc. Nella fonte, è l’Alfiero a rubare il fazzoletto di Desdemona e a
          servirsene come riprova dell’adulterio; sua moglie è consapevole fin dall’inizio
          della trama del marito, e tace per paura. Shakespeare sfuma entrambi questi
          particolari  −  Emilia  raccoglie  da  terra  il  fazzoletto  e  lo  dà  a  Iago  senza

          rendersi conto della sua importanza, e solo alla fine ha come un sospetto o
          un’illuminazione  sul  ruolo  da  lei  inconsapevolmente  avuto  nell’inganno.
          Shakespeare aggiunge poi le figure di Bianca e di Roderigo − che servono a
          far  risaltare  altri  aspetti  torbidi  o  «machiavellici»  di  Iago  e  a  introdurre

          qualche  elemento  di  sollievo  comico  −  e  modifica  radicalmente  la
          conclusione. Segue Cinthio per i particolari degli agguati finali, ma in Cinthio
          Disdemona viene uccisa con una calza riempita di sabbia da Iago e Otello,
          che poi fanno crollare su di lei il soffitto onde mascherare il delitto; il Moro

          licenzia l’Alfiero, che lo accusa di assassinio: l’uno viene bandito e poi ucciso
          dai parenti di Disdemona, l’altro arrestato e torturato a morte per altri delitti.
          Come in altri casi, Shakespeare segue i fatti esteriori della fonte − il rapporto
          Cassio-Desdemona,  l’uso  che  ne  fa  Iago,  l’insinuazione  del  sospetto  nella

          mente  del  Moro,  gli  eventi  precedenti  la  conclusione,  l’ambientazione
          nell’isola di Cipro − ma ne modifica radicalmente i modi, le potenzialità e i
          significati drammatici. Dopo il primo atto ambientato a Venezia, che non ha
          riscontri  diretti  nella  fonte  e  serve  da  movimentato  e  maestoso  prologo

          all’azione, la vicenda è unitariamente sviluppata e compressa nel giro di circa
          36  ore  a  Cipro  (Atti II-V),  secondo  una  precisa  consequenzialità  di  eventi
          esteriori  e  un  inarrestabile  crescendo  di  tensione.  Anche  per  il  numero
          limitato dei personaggi, per la mancanza di un intreccio secondario e per la

          rapidità  degli  eventi, Othello  diventa  così  uno  dei  drammi  più  unitari  o
          addirittura «regolari» secondo i principi aristotelici di Shakespeare (dopo The
          Tempest), ed il più paragonabile a una «tragedia domestica», nel senso che
          gli eventi pubblici, pur presenti, tendono a passare in secondo piano e non si

          riscontrano alla fine né quell’allargamento simbolico del significato, né quegli
          accenni  a  una  restaurazione  dell’ordine  sociale  compromesso,  che  sono
          presenti  in  tante  altre  tragedie  shakespeariane.  Qui  c’è  piuttosto  un
          restringersi in senso quasi claustrofobico della prospettiva e un chiudersi della

          tragedia su se stessa. Nel triangolo centrale dei personaggi, però − Otello,
          Iago, Desdemona − che Shakespeare presenta in strettissimo e ingarbugliato
          rapporto fra loro, e soprattutto nella coppia Otello-Iago, avvinta da profondi
          legami           di        attrazione/repulsione,               fedeltà/odio,           luce/ombra,

          espresso/inespresso,  che  porteranno  alla  distruzione  di  tutti  gli  interessati,
          colpevoli e incolpevoli, Shakespeare crea uno dei suoi più affascinanti disegni
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