Page 909 - Shakespeare - Vol. 2
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ATTO III        163     EN






                                                   Scena I      164     EN



                                  Entra il Re in vestaglia, solo [con un paggio].



              RE
               Va’ a chiamare i Conti di Surrey e Warwick.
               Ma, prima di venire, che leggano questa lettera
               e la meditino bene. Affrettati.

                                                                                             [Esce il paggio.]
               Quante migliaia dei miei sudditi più poveri
               a quest’ora dormono! O sonno, dolce sonno,
               tenera nutrice di natura, come ti ho spaventato,
               che più non vuoi appesantire le mie palpebre

               e affondare i miei sensi nell’oblio?
               Perché, sonno, ti corichi in tuguri fumosi,
               steso su pagliericci scomodi,

               conciliato da mosche ronzanti al tuo sopore,
               piuttosto che nelle sale profumate dei grandi,
               sotto i baldacchini del lusso e dello sfarzo,
               e blandito dal suono delle melodie più dolci?
               O torpido dio, perché ti corichi con gli umili

               in letti sordidi, e fai del giaciglio regale
               una guardiola o campanella d’allarme?               165
               Forse che tu, sull’albero alto e vertiginoso,

               non chiudi gli occhi al mozzo e gli addormenti il cervello
               nella culla dei cavalloni prepotenti
               e nelle folate turbinose dei venti,
               che afferrano le onde brutali per la cima,
               arricciandone le teste mostruose e appendendole

               con clamore assordante fra nubi fuggenti,
               sicché il tumulto desta anche la morte?
               Puoi tu, sonno ingiusto, donare il tuo riposo
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