Page 521 - Shakespeare - Vol. 2
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come  torelli»,  e  la  descrizione  fornita  da  Falstaff  dei  suoi  centocinquanta
          spaventapasseri cenciosi, avanzi di galera da lui arruolati, con poca spesa per
          l’equipaggiamento, dopo avere intascato trecento sterline per esonerare un
          eguale numero di benestanti da lui attentamente trascelti e arruolati in prima

          istanza.  Non  contento  dell’affare,  farà  in  modo  che  tutti  i  poveracci  della
          compagnia lascino la pelle a Shrewsbury, intascando anche la magra paga, e
          pronuncerà le memorabili parole: «Carne da cannone, carne da cannone. In
          una  fossa  ci  staranno  bene  come  quelli  migliori».  Sono  a  confronto  due

          diverse immagini della guerra e del soldato, lo splendido racconto di audaci
          imprese con implicazioni erotiche (Hotspur aspira a un mortale abbraccio con
          Hal, più soddisfacente si direbbe di quello con la moglie; vedi IV, i, 119-123;
          V,  ii,  72-74),  e  la  sporca  faccenda  di  denaro,  furbizia  e  sangue.  Ma  tanto

          Hotspur che Falstaff, come s’è visto, sono troppo sicuri della loro versione,
          per questo li attende un brusco risveglio. Dio confonde chi vuol perdere. «Die
          all, die merrily!» grida il dissennato Hotspur, eppure le sue ultime parole sono
          tutt’altro che gaie, anzi come s’è detto si incontrano con la visione negativa di

          Falstaff (e il suo cadavere martoriato illustra perfettamente quanto affermato
          della carne da cannone).
          Del  resto  Shakespeare  non  esclude  nemmeno  la  possibilità  che  la  vita  da
          ubriachi di Falstaff e Hotspur possa essere più godibile di quella dei sobri re e

          principi lancastriani. Bisogna essere sempre ubriachi, suggeriva Baudelaire, di
          poesia  di  virtù  o  di  vino  non  importa,  e  non  è  dubbio  che  lo  spettatore  e
          lettore  di 1  Henry IV  facciano  una  buona  scorpacciata  di  questi  paradisi
          artificiali, prima di essere restituiti (già all’interno dell’opera) al mondo di tutti

          i  giorni.  E  davvero,  come  protesta  comicamente  lo  stesso  vecchio  John,  ci
          sarebbero ancora «molte cose da dire a favore di quel Falstaff» (II, iv, 464-
          465). La sua vitalità, la sua «perpetua gaiezza, la più piacevole di tutte le
          qualità» (Johnson), è la vitalità stessa del teatro shakespeariano.





          Testo

          Il  testo  inglese,  curato  e  modernizzato  da  M.A.  Shaaber,  segue  la  prima

          edizione  (Q1)  del  1598,  con  un’ottantina  di  emendamenti.  Fra  parentesi
          quadra  sono  tutte  le  didascalie  e  indicazioni  aggiunte  dal  curatore.  Per
          riferimenti  bibliografici  in  merito  ai  commenti  citati  nelle  note  si  veda  la
          bibliografia specifica che segue alla Prefazione.
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