Page 524 - Shakespeare - Vol. 2
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di C.V. Ludovici, 3 voll., Torino, Einaudi, 1960.  Re Enrico IV, parte prima, trad.
          P.  Bardi,  in  M.  Praz  (a  cura  di), Tutte  le  opere,  Firenze,  Sansoni,  1964.
          Riccardo II, Enrico IV, trad. A. Meo, Milano, Garzanti, 1975. Enrico IV,  parte I,
          trad. A. Dallagiacoma e C. Gorlier, in G. Melchiori (a cura di), I drammi storici,

          tomo I, Milano, Mondadori, 1979.
          La traduzione inclusa nel presente volume si è giovata in vari punti di quella
          spesso felice di A. Meo, e delle annotazioni di F. Rota.


          STUDI

          Dopo le osservazioni entusiastiche di Samuel Johnson nella sua edizione di

          Shakespeare  (1765,  v.  sopra),  la  fortuna  critica  di 1  Henry IV  inizia  con
          l’ampio Essay on the Dramatic Character of Sir John Falstaff (1777) di Maurice
          Morgann, che cerca di provare con gusto paradossale che Falstaff non è quel
          vigliacco  millantatore  che  si  dice,  ma  cavaliere  rispettato,  come
          dimostrerebbe ad esempio la sua presenza al consiglio regale in v, i. Questo

          tipo  di  discussione  astratta  sul  personaggio  avulso  dal  suo  contesto
          drammaturgico continua nel saggio comunque fondamentale di A.C. Bradley,
          The Rejection of Falstaff (Oxford Lectures on Poetry, 1909), per cui Falstaff

          ha  preso  la  mano  al  suo  creatore,  tanto  da  risultare,  a  dispetto  delle  sue
          intenzioni,  più  affascinante  del  Re  che  giustamente  lo  bandisce.  «È  nel
          personaggio, non nel giudizio che fa cadere su lui, che Shakespeare afferma
          la sua superiorità. Mostrarci che la libertà dell’anima di Falstaff era in parte
          illusoria,  e  che  le  realtà  della  vita  rifiutano  di  essere  fatte  svanire  dal  suo

          umorismo, questo è quanto ci saremmo aspettati dal buon senso infallibile di
          Shakespeare, ma non era un esito fuori dalla portata di scrittori meno grandi.
          L’esito è invece Falstaff stesso, ed è la concezione di quella libertà d’animo:

          una  libertà  solo  in  parte  illusoria,  e  raggiungibile  solo  da  una  mente  che
          aveva  ricevuto  da  quella  di  Shakespeare  l’inspiegabile  germe  d’infinito  che
          egli conferì a Hamlet e Macbeth e Cleopatra, ma negò a Enrico V.» Bradley fa
          anche  osservazioni  acute  sulle  bugie  di  Falstaff:  egli  non  ha  nessuna
          intenzione di far credere di essere stato attaccato da due, quattro, sette ecc.

          gaglioffi  in  casacche  di  grezzo,  o  di  avere  ucciso  Hotspur,  ma  recita
          volutamente  la  parte  del  fanfarone,  il  ruolo  che  si  è  scelto  per  maggior
          divertimento suo e degli altri. L’osservazione va tenuta presente perché non

          pochi  critici  interpretano  alla  lettera  le  menzogne  di  Falstaff,  e  sostengono
          che nella narrazione della battaglia con i rogues in buckram egli cessa per un
          istante  di  essere  Falstaff  e  diviene  un  semplice  burattino  farsesco  (A.J.A.
          Waldock, The  Men  in  Buckram,  in  «Review  of  English  Studies»,  23,  1947),
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