Page 517 - Shakespeare - Vol. 2
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viene all’altro fatto militare su cui 1 Henry IV si apre, la vittoria dei gallesi di
Glendower sugli inglesi di Mortimer sul confine della Severn, e il Re accusa
Mortimer di tradimento, tanto più che ha sposato la figlia del nemico, Hotspur
si lancia (ed è la sua seconda battuta, vv. 93-112) in una descrizione
appassionata del duello dei due condottieri, che presenta come cavalieri
ideali usciti da un poema medioevale. È questo il mondo di Hotspur, un
mondo cavalleresco e soprattutto poetico, anche se di quel tipo di poesia che
non guarda o non vede la realtà. E cosa potrebbe essere più emblematico di
ciò della risposta del Re: «Non dici il vero di lui, Percy, non dici il vero! / Non
si è mai scontrato con Glendower» (vv. 113-114)? Il duello vagheggiato da
Hotspur forse non è mai avvenuto se non nel mondo dei sogni.
Quasi tutti i versi più splendidi e memorabili di 1 Henry IV sono dati a
Hotspur, colui che afferma di non amare le parole, e detesta la musica.
Falstaff, il suo contraltare, parlerà invece in prosa. Al giovane onorevole e
virile si oppone il vecchio spregiudicato ed effemminato, alla commossa
evocazione dell’onore dell’uno (I, iii, 201-208) il “catechismo” sardonico
dell’altro sull’onore come mera parola e insegna funeraria (V, i). Ma Falstaff e
Hotspur sono anche vicini nel loro essere, come s’è visto, fuori dalla legge e
dalla misura, nel rappresentare entrambi un passato sconfitto in partenza
(l’uno perché feudale, l’altro perché vecchio clown destinato a essere messo
da parte), e insieme, paradossalmente, nella loro giovinezza, sia perché
immaturi e infantili, sia perché eternamente giovani anche come personaggi
(al contrario di Hal, nato vecchio). Entrambi si nutrono di sogni, e di parole. E
l’esito cui giungono non è poi diverso, se al catechismo del disonore di
Falstaff fanno eco le ultime rotte parole di Hotspur morente, le più alte del
dramma, grandi e tremende nella loro ammissione della vanità dell’impresa
umana come quelle dell’ultimo soliloquio di Macbeth.
Il Principe infatti se li trova tutti e due davanti, come morti, sul campo di
battaglia, e li congeda insieme, assumendo una cadenza regolare, parlando
in rima (V, iv, 86-109), e rivelandosi all’altezza del momento: «Fare thee well,
great heart», dice all’uno, e all’altro: «Poor Jack, farewell!». Ma a Falstaff
verrà concesso di resuscitare e affermare di essere stato lui a uccidere una
seconda volta Hotspur. Dopo aver bassamente colpito il cadavere (e di
cadaveri scempiati si era detto già nella prima scena del primo atto) egli lo
prende in spalla. Gli opposti coincidono.
Anche Falstaff non tarderà ad essere spacciato, ma la sua fine è rimandata a
2 Henry IV, e la sua morte a Henry V. Secondo l’acuta ipotesi di Harold
Jenkins, quando Shakespeare cominciò a scrivere Henry IV, ponendo subito in