Page 510 - Shakespeare - Vol. 2
P. 510
Agincourt (vedi H enry V). Gli eroi nazionali hanno spesso una fama
abbastanza locale. Meglio i nemici pubblici, Riccardo III o Hitler.
The Historie of Henry the Fourth (titolo della prima edizione, l’in-quarto del
1599, poi mutato in The First Part of Henry the Fourth nell’in-folio del 1623) è
infatti il settimo dramma storico scritto da Shakespeare in circa otto anni per
venire incontro all’interesse patriottico del pubblico per l’epopea nazionale (re
buoni e re malvagi, re deboli e re forti, i malanni della guerra civile, le vittorie
contro gli stranieri, con riferimento alla felice ma non definitiva affermazione
sugli spagnoli di dieci anni prima, 1588). Il pubblico accorreva a godersi lo
spettacolo e le lezioni apparentemente rassicuranti della storia; i più riflessivi
potevano scorgere in filigrana una problematica più sottile: il tema dell’unità
nazionale, cioè la moderna concezione del potere centrale contro le divisioni
feudali (le tre parti di Henry VI, Richard III), il problema della successione e
dell’educazione del principe ideale. Chi sarebbe succeduto alla
sessantacinquenne Elisabetta (1533-1603), che non aveva figli? La capacità
di regnare poteva giustificare l’usurpazione? Shakespeare allora racconta la
storia del principe Hal, tornando indietro di cento anni rispetto al Richard III,
e iniziando a narrare nel Richard II l’antefatto, la deposizione del debole ma
sensibile e soprattutto “vero” re Riccardo da parte del forte, capace, poco
scrupoloso e “falso” re Enrico. Riccardo, lo sconfitto, si porta via il dramma,
relegando il nemico a comprimario, quasi la nemesi incarnata per le sue
dissennatezze. E alla fine del Richard II il nuovo Re già accenna al figlio
scapestrato, destinato a divenire lui il protagonista del dramma intitolato
formalmente al padre. Ma a sua volta il principino scavezzacollo si vede
portare via il ruolo primario dall’amico traviatore Falstaff e dall’avversario e
coetaneo Hotspur, le cui parti come s’è visto sono, anche se di poco, più
lunghe della sua. Hal dominerà solo quando sarà diventato Enrico V nel
dramma omonimo, quando avrà messo la testa a posto mutandosi nell’eroe
di tutti i cuori, senza per questo far chiudere gli occhi al suo burattinaio
Shakespeare, che con Henry V scrive un dramma tutt’altro che aproblematico.
Se in Richard III, che risulta il suo lavoro più rappresentato in assoluto,
Shakespeare aveva presentato la farsa e la nequizia della storia, e in Richard
II un alto mistero poetico e doloroso che (come spesso è stato detto) anticipa
l’eroe impotente Hamlet, in Henry IV egli ci proietta nella normalità e piccola
immoralità di tutti i giorni: non grandi delitti, non grandi virtù, grandi
personaggi però sì, che risaltano proprio per il loro travalicare una realtà più
mediocre di loro. Sul trono c’è un usurpatore ambiguo e sofferto che però sa il
fatto suo, tradito non tanto dalla coscienza quanto dalla comunissima nemica,