Page 1799 - Shakespeare - Vol. 2
P. 1799

Certo, con mille paragoni.
               Primo, perché piangeva nel ruscello
               che non ne aveva bisogno. “Povero cervo”, dice,
               “fai testamento come quelli di questo mondo,

               che danno in sovrappiù a chi ha già troppo”.
               Poi, perché era tutto solingo e abbandonato
               dai suoi compagni vellutati. “È giusto”,
               dice, “così dirada la miseria

               il flusso degli amici”. Ed in quel punto passa,
               a balzi, proprio accanto al morituro,
               una mandria pasciuta e spensierata
               e nessuno si ferma a dirgli “come stai”.

               “E già”, commenta Jaques, “tirate via,
               borghesi grassi e ben unti, è così
               che va il mondo. E perché mai gettare
               un’occhiata a un relitto, a un povero fallito?”

               E così in grande vena d’invettiva
               ti trapassava al cuore la campagna,
               e la città, e la corte, e sì, anche questo nostro
               modo di andar vivendo. E spergiurava

               che pure noi non siamo che tiranni
               e usurpatori, e peggio, a spaventare
               gli animali, e ammazzarli in casa loro,
               dove son nati e dove li ha posti la natura.



              IL VECCHIO DUCA

               E l’avete lasciato laggiù, in meditazione?


              SECONDO BARONE

               Sì, monsignore, a piangere e a chiosare
               i singhiozzi del cervo.



              IL VECCHIO DUCA
                               Mostratemi dov’è.
               Mi piace conversare con lui in questi accessi
               di cupezza, ché allora è pieno di cose.




              PRIMO BARONE
   1794   1795   1796   1797   1798   1799   1800   1801   1802   1803   1804