Page 1762 - Shakespeare - Vol. 2
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demoniaca Tyche degli antichi e dei rinascimentali.
          La scena di Arden riassume a suo modo la condizione umana, combinando i
          motivi potenzialmente tragici della base narrativa − dai quali potrebbe trarsi
          una  tragedia  assimilabile  al Re  Lear  −  e  i  motivi  comici,  il  tema  della

          gioventù noncurante e quello della vecchiaia atroce (portato dal servo Adam,
          ed evocato da Jaques nel passo sulle età dell’uomo), la fame e il banchettare,
          l’anelito a fuggire dalla pazza folla e la nostalgia del mondano, il bisogno di
          purificarsi  dai  mali  del  mondo  nella  innocente  Arcadia  e  il  desiderio  di

          fecondità e comunanza, culminante nel lieto ritorno finale alle vie del mondo.
          Quanto  al  gran  tema  dell’amore,  questa  potrebbe  ben  chiamarsi  una
          commedia dell’amore, e ne ricordo la scena stupenda dell’innamoramento di
          Rosalinda e Orlando alla fine di I, ii, una scena che va letta, come tutte del

          resto,  come  scrittura  teatrale,  e  cioè  evocando  tra  le  quinte  dell’anima  il
          contesto,  le  voci  e  i  gesti.  E  c’è  poi  la  famosa  «definizione»  che  Celia  dà
          dell’amore  a III, ii, 188-190, usando per cinque volte la stessa parola (ma i
          greci  avrebbero  definito  Eros  con  una  sola  e  potente  parola, deinòs)  e  i

          momenti in cui la fenomenologia dell’amore è mostrata nella sua complessità
          misteriosa.  Eppure  l’innamoratissima  Rosalinda  è  la  prima  a  prendere  le
          distanze, col cervello se non col cuore, da quella temibile passione di cui vede
          attorno, così diceva Hazlitt, «la perversità», e a ricorrere all’antidoto sicuro,

          un  filo  d’ironia  e  una  dose  d’allegria.  L’amore  è  passione  egoistica  e
          soggettiva,  irrazionale  e  vicina  alla  follia,  che  viene  però  curata  dal
          matrimonio,  che  la  trasforma  in  una  istituzione  comunitaria  con  una  ben
          sanzionata funzione, e così avverrà all’esodo della commedia. Ma Rosalinda

          sa  bene  che  invece  di  dire  «per  ora  e  sempre»  gli  innamorati  farebbero
          meglio a lasciar fuori il sempre (IV, i, 138), esprimendo magari solo auguri di
          lunga durata, come fa l’impeccabile duca alla fine. In altre parole, qui come
          nelle  altre  commedie  di  Shakespeare  il  lieto  fine  è  una  convenzione

          ironizzata,  un  modo  di  chiuder  l’opera  come  la  cadenza  in  una  fuga,  ed  è
          troppo ingenuo leggervi un messaggio morale che raccomandi il matrimonio.
          Una commedia, dice non so che critico saggio, è un’immagine del fluire della
          vita,  del passage  nel  senso  di  Montaigne,  e  un  punto  solo  di  questo

          vertiginoso  passaggio  della  sorte  è  il  matrimonio.  Per  chi  lo  guarda  dal  di
          fuori  della  scena,  non  è  saggio  attribuirvi  una  eccessiva  importanza.  Per
          questo la Gardner e molti altri confondevano quel che possiamo chiamare la
          sapienza  antica  o  tragica  di Come  vi  piace  con  l’acidità  e  addirittura  col

          cinismo  («tutta  l’opera  è  un  equilibrarsi  di  dolcezza  e  acidità,  di  cinismo  e
          idealismo»  scriveva  il  critico  in  un  suo  saggio)  ma  i  bilanciamenti  di
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