Page 1760 - Shakespeare - Vol. 2
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artificiale,  gli  serve  per  dare  alla  commedia  un’altra  dimensione  ancora,
          quella  cosiddetta  metateatrale,  per  cui  egli  riflette  e  scherza  sulla  propria
          opera, come quando Jaques se ne va infastidito che si ritorni dalla prosa ai
          versi sciolti (IV, i, 29-30), e difatti egli è animale prosastico per eccellenza.

          Della propria opera l’autore non si perita di mostrar l’artificio, le convenzioni,
          spezzando l’illusionismo scenico per schiacciar l’occhio allo spettatore con una
          sorta di intenzione di Entfremdung, di estraniamento epico brechtiano. D’altra
          parte, il teatro è ben un frammento di vita, e chi vuol mostrare la vita può

          anche mostrare il fenomeno che la simboleggia più in profondo, sdoppiando
          anche il proprio teatro nel teatro, mostrando come fingono e si travestono gli
          attori,  e  fan  la  parte  di  allegorie,  giocando  fra  dramma,  vita  e  gioco  del
          dramma, e complicando i già equivoci rapporti fra finzione, illusione e realtà.

          Invenzioni esilaranti che mettono assieme fantasia e intelletto critico, ma di
          salda  base  tradizionale,  ché  l’amico  Jonson  parlava  certo  a  Shakespeare
          anche  di  Aristofane,  e  anzi  nel  commemorare  l’amico  (nei  versi  premessi
          all’in-folio del 1623) lo accostava ai grandi classici portatori di conoscenza,

          Aristofane, Terenzio e Plauto, oltre che ai grandi tragici greci.
          Così, mescolando con la magia del genio il vecchio e il nuovo, Shakespeare
          imposta la sua commedia con quella semplicità e spontaneità che sbalordiva
          l’altro  suo  ammiratore  settecentesco,  Samuel  Johnson  (il  quale  osservava

          anche che egli non pare scrivere né commedie né tragedie, ma forme d’un
          genere  nuovo  e  senza  apparente  scopo  morale).  Però  questa  spontaneità,
          come ben sanno i semiologi d’oggi, par essere il risultato di un calcolo degno
          d’un  matematico,  di  un’operazione  fatta  di  opposizioni  e  tensioni,  di

          combinazioni a specchio e a chiasmo, insomma di una vera strumentazione
          semiotica.  L’antitesi  sociale  è  la  più  ovvia  e  l’ho  accennata:  città  contro
          campagna, corte contro Arcadia, cultura e ricchezza contro natura e povertà,
          ma povertà ricca di beni spirituali. Poi c’è l’antitesi psicologica ed etica: la vita

          attiva  contro  la  contemplativa,  la  mondanità  contro  la  rusticità,  lo stress
          contro  la  pace,  e  così  via  corruzione-innocenza,  orgoglio-umiltà,  novità-
          tradizione,  occhio  al  futuro  contro  l’occhio  al  passato,  e  parlar  raffinato  e
          ambiguo  contro  il  parlar  rozzo  ma  chiaro  e  latino,  con  valenze  facilmente

          rovesciabili.
          Per questo suo alto gioco − il principio del gioco sia intellettuale che fisico è
          fondamentale in questa commedia di homines ludentes − il drammaturgo ha
          combinato in vario modo, nel suo contraddittorio mondo pastorale, una serie

          di  coppie  umane,  lungo  un  arco  avviato  dal  tema  di  corte  e  città  che  lo
          punteggia nel suo slancio scintillante e infine lo accoglie alla ricaduta. Come
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