Page 1758 - Shakespeare - Vol. 2
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sua fonte principale, la Rosalynde di Thomas Lodge. La narrativa egli la usa
          indirettamente  e  di  scorcio,  come  impalcatura  per  reggere  quel  minimo  di
          azione esterna che c’è nel play, e sempre con sprezzatura, quasi come una
          cornice  e  un  contrasto  alla  sospesa  atmosfera  pastorale.  Ciò  su  cui  punta

          tutto,  ciò  che  trasporta  lo  spirito  dell’opera,  è  il  dialogo,  la  sua  scrittura
          vocale e gestuale, l’armonia che risulta dai duetti, dai terzetti, dall’incrociarsi
          e alternarsi e sovrapporsi dei vari strumenti-personaggi: sia che la si legga
          sia  che  la  si  ascolti  e  veda  a  teatro, Come  vi  piace  è  anzitutto  una

          meravigliosa partitura di parole, e per questo è quanto mai difficile offrirne il
          «falso» della traduzione.
          Si sa che nello spirito della pastorale erano l’insoddisfazione e la critica per un
          vivere  costretto  negli  agglomerati  cortesi  e  urbani,  l’idealizzazione

          dell’innocenza radicale dell’uomo e d’una vita beata in armonia con i grandi
          ritmi  della  natura  che  l’uomo  sente  già  di  aver  perduti,  e  d’altra  parte  il
          desiderio  di  una  vita  isolata  e  limitata  nella  coscienza  dei  limiti  imposti
          comunque a ogni forma di esistenza (W. Empson). E Shakespeare fa suonare

          questi  temi  soprattutto  all’inizio  dell’opera,  presentandoci  il  presente
          abominevole (odio di un fratello per l’altro, sopraffazione e violenza, avidità
          di denaro e potere, gente cacciata in esilio) quasi come preludio dissonante
          della musica che comincerà veramente non appena si mette piede nei boschi

          di  Arden.  Innocenza  e  felicità  erano  nella  radice  psicologica  dell’istanza
          pastorale.  Da Dafni e Cloe  al Racconto d’inverno, scrive Renato Poggioli, «il
          compito dell’immaginazione pastorale è di superare il conflitto tra passione e
          rimorso, di riconciliare innocenza e felicità, di esaltare il principio di piacere a

          spese del principio di realtà». Per questo le storie d’amore sono intrinseche
          alla pastorale: l’infelicità è anzitutto amore non corrisposto, e la felicità è il
          fervido  tramutarsi  della  castità  in  soddisfazione  sessuale.  Shakespeare  ci
          mostra gli effetti meravigliosi dell’amore ma ne prende anche ironicamente le

          distanze e ci dice anche, quasi a mo’ di Beckett, com’è veramente. Anche nei
          boschi di Arden, come poi nella Pastorella fedele di John Fletcher (1610), la
          realtà si urta col principio del piacere. L’infelicità è inevitabile per l’uomo in
          tutte  le  latitudini,  e  lo  sa  bene  il  vecchio  Duca,  bellissimo  personaggio

          schizzato in pochi tratti come da un gran pittore, così affascinante che George
          Sand se ne innamorò e nel suo adattamento dell’opera lo volle ricompensare
          alla fine con la mano della nipote Celia. Per usare parole esemplari di Camus,
          il duca potrebbe dire che la sua serenità è basata su una solida disperazione,

          o  su  una  solida  disperanza.  Egli  non  dimentica  mai  che  nella  pace  più
          profonda dei boschi di Arcadia giace il teschio con la scritta «Et in Arcadia
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