Page 1753 - Shakespeare - Vol. 2
P. 1753

un negoziato, ma la consumazione di un diktat.

            159 V, ii, 17 I “basilischi” sono quelli del mito, rettili immaginari dallo sguardo fulminante, ma anche pezzi
                 d’artiglieria capaci di tirare palle da un quintale. Balls, del pari, sta per “occhi” o “pupille”, ma anche
                 per “palle di cannone”.

            160 V, ii, 62 Per gli elisabettiani vale tuttora la teoria medievale secondo la quale il mondo della natura,
                 animale e vegetale, dopo il peccato di Adamo tende a degenerare, mentre le opere della civiltà, a
                 cominciare  dalle  colture  dei  campi,  mirano  a  ricondurre  la  natura  alla  purezza  delle  origini.  Alle
                 coltivazioni abbandonate corrispondono, appunto, uomini “imbarbariti in modo innaturale”. In questo
                 senso  vanno  intesi  gli  altri  termini  usati  dal  Duca  di  Borgogna  nel  suo  toccante  appello  (che  si
                 distingue  per  sincerità  di  accenti,  in  contrasto  col  formalismo  rituale  dei  suoi  interlocutori).  La
                 descrizione  della  desolazione  postbellica  assimila  l’allocuzione  del  Duca  agli  interventi  del  Coro,  e
                 richiama  la  metafora  del  malgoverno  in Riccardo II  (III,  iv)  dove  un  giardiniere  e  il  suo  aiutante
                 dipingono l’Inghilterra come un giardino cintato dal mare e infestato dalle erbacce.
            161 V, ii, 98 La scena del corteggiamento − assente dalle fonti storiografiche − è invece presente nelle
                 Famous Victories e anche in altre versioni teatrali della success story di Enrico, in seguito perdute,
                 oltre  che  in  canzoni  e  tradizioni  popolari.  È  una  scena  espressamente  promessa  da  Shakespeare
                 nell’Epilogo a 2-Enrico IV «...vi faremo spassare con la bella Caterina di Francia», e che − in parte
                 estranea al tono fondamentale del dramma − ricorda piuttosto la commedia giocosa di La bisbetica
                 domata e Pene d’amor perdute, se non quella, già più sofisticata, di Come vi piace  e Molto rumore
                 per nulla (contemporanee a Enrico V come composizione: 1598-1600). In Caterina (come Benedick
                 in Beatrice, e Biron in Rosalina), Enrico trova pane per i suoi denti: siamo di fronte a un vigoroso
                 duetto fra un uomo e una donna che sanno benissimo quello che vogliono, e possono permettersi
                 di parlare tongue-in-cheek. Tutti e due giocano a rimpiattino con il problema della lingua ma, come si
                 è  detto,  si  capiscono  al  volo;  e  nessuno  dei  due,  nel  confronto  brioso  fra  ruvidezza  e  ritrosia,
                 dimentica per un istante la ragion di stato.
            162 V, ii, 107 Bastano poche battute per passare dal “bella fra le belle” al troppo confidenziale “Kate”
                 (un nome sovente affibbiato a donne pugnaci o sfrontate). Se la prima domanda è diretta come un
                 pugno,  le  dichiarazioni  successive  si  ammantano  di  ruvidezza  campagnola  (“mi  son  venduto  il
                 podere”,  “una  stretta  di  mano  e  affare  fatto”),  provocatoria  anche  questa.  Seguono  i  giochi  di
                 parola,  le  spacconate  ginnico-sportive,  coi  loro  palesi  sottintesi  sessuali);  poi  il  re  torna  a  fare  il
                 soldato  che  vanta  la  propria  schiettezza,  di  contro  a  quei  “tipi  dalla  lingua  inesauribile”  sui  quali
                 Shakespeare si compiace a volte di appuntare i suoi strali. Brillante e divertito il crescendo finale.
            163 V, ii, 190 “La spropositiamo così a proposito” rende solo in parte l’ironia di quel most  truly-falsely:
                 “Parliamo le rispettive lingue in modo tanto sincero quanto sgrammaticato» si può intendere anche
                 «in modo tanto più falso quanto più sembra sincero”.

            164 V,  ii,  205  “Combinare  fra  noi”  (compound):  sull’impertinenza  di  Enrico  s’innesta  l’ironia  di
                 Shakespeare. Il suo pubblico sa bene che il frutto di tale connubio fu il debole e malaticcio Enrico VI,
                 il  quale  −  lungi  dal  tirare  la  barba  al  Turco  −  assisterà  impotente  alla  perdita  della  Francia  e  al
                 rinnovarsi  delle  discordie  civili  in  Inghilterra  (come  l’Epilogo  esplicitamente  vuol  ricordare).  Il  sogno
                 della riconquista di Costantinopoli, comune ai monarchi europei del Cinquecento, è prematuro, nel
                 caso di Enrico V: i Turchi a Costantinopoli dovevano ancora arrivare.
            165 V,  ii,  280  La  domanda  comporta  un  sottinteso  sessuale.  Ricche  di  ammiccamenti  sono  anche  le
                 successive battute del Duca di Borgogna: il verbo conjure (“evocare”) oltre all’idea di esorcismo o
                 rituale  magico  ha  quello  di  erezione;  e  lo  stesso  vale  per hard  condition  (tradotto  con  “situazione
                 difficile”).  Del  pari, circle  non  è  solo  il  circolo  di  un  rituale  magico,  ma  anche  l’organo  femminile.
                 Anche Borgogna, quanto a impertinenza, non scherza: tanto più che Caterina è tuttora in scena.
            166 V, ii, 303 San Bartolomeo ricorre il 24 agosto: da noi si parla di «mosche settembrine». Ai sottintesi
                 di  Borgogna  Enrico  risponde  nello  stesso  stile:  acchiapperà  le  mosche in  the  latter  end  (“sul  finir
   1748   1749   1750   1751   1752   1753   1754   1755   1756   1757   1758