Page 1748 - Shakespeare - Vol. 2
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battaglia,  il  soldato  Court?  Non  lo  sapremo  mai.  Raramente  Shakespeare  ha  detto  tanto  in  così
                 poche parole.
            114 IV, i, 141 Williams è il più articulate, il più cosciente dei tre: una parte del suo toccante discorso (la
                 responsabilità che il sovrano si assume davanti a Dio e agli uomini if the cause be not good − il fatto
                 che  non  esista,  per  il  soldato,  una  nobile  morte)  conserva  nei  secoli  tutta  la  sua  attualità.  Meno
                 attuale è per noi l’aspetto religioso del problema: la paura della dannazione. Il Re si guarda bene dal
                 suggerire  che  l’obbedienza  sia  condizionata  dalla  giustezza  della  causa,  e  sarebbe  antistorico,  da
                 parte  nostra,  aspettarcelo.  Non  a  caso  egli  imposta  la  sua  arringa  sul  tema:  “se  dunque  essi
                 muoiono impreparati, il Re non è colpevole della loro dannazione”. Poiché sul piano della fede il suo
                 ragionamento non fa una grinza, egli ha buon gioco nel convincere gli ascoltatori. Ma appena il Re-
                 soldato esce dal terreno della dialettica dottorale, e si mette a parlare come uno di loro (“l’ho sentito
                 con le mie orecchie” − “se vivo tanto da vedere quel giorno”), Williams, risentito, gli dà sulla voce.
                 Enrico  non  trova  di  meglio  che  provocarlo  a  una  sfida,  sapendo  bene  di  esser  rimasto  senza
                 argomenti.

            115 IV, i, 220 Lay twenty crowns to one comporta un gioco di parole su crowns (“corone” − o “scudi” −
                 monete  d’oro  equivalenti  a  6  scellini,  e  “teste”,  incoronate  da  capelli)  e  lay  (“scommettere”  ma
                 anche  “mettere  in  campo”:  venti  soldati  contro  uno). French  crowns  ha  ulteriori  implicazioni  (la
                 calvizie indotta dal “mal francese”); e clipper non è solo il “tosatore” o “tosateste”, ma anche chi
                 batte moneta falsa. Stavolta decapitare francesi, scapitozzarli o fare il falsario (termini coincidenti)
                 non è reato.
            116 IV, i, 223 Il Re ha in parte rincuorato i suoi  uomini.  Ora  che  è  solo  si  sente  momentaneamente
                 schiacciato  dal  peso  della  responsabilità.  Tema  trattato  da  Shakespeare  in  2-Enrico IV,
                 nell’invocazione al sonno del padre di Enrico (Uneasy lies the head that wears a crown  − III, i) e
                 nella riflessione del principe sulla corona del Re morente (O polish’d perturbation! Golden care! − IV,
                 ii). Se l’insonnia del padre è causata dall’ansietà e dal rimorso, quella del figlio è inseparabile dalla
                 “dura  condizione”  del  regnante:  la  veglia,  in  questo  momento,  fa  parte  dei  suoi  doveri.  Enrico  è
                 forse anche turbato dalle parole di Williams: ma nell’insieme questa sua meditazione sul tema del
                 fasto regale (ceremony), la solitudine del potere, la libertà dello schiavo che può dormire sereno,
                 libero da scelte tormentose, fa parte della “recita della regalità”: variazione su tema tradizionale e
                 antico quanto l’Ecclesiaste, che ritroviamo nei classici, a cominciare da Orazio.

            117 IV,  i,  280  La  preghiera  al  biblico  Dio  degli  eserciti  è  l’unico  momento,  nel  dramma,  in  cui  Enrico
                 mostra  segni  di  cedimento  a  quel  senso  di  panico  che  cerca  di  prevenire  nei  suoi.  Se  i  soldati
                 temono soprattutto la soverchiante forza del nemico, su lui pesa l’usurpazione paterna grazie alla
                 quale oggi è re. Il suo atto di contrizione, il ricordare al Signore le opere di carità passate presenti e
                 future, il suo non sentirsi, nonostante tutto, in pace con la coscienza, dimostrano che nemmeno lui
                 è  un  eroe  tutto  d’un  pezzo,  senza  macchia  e  senza  paura.  La  battaglia  dell’indomani  diventa
                 dunque un giudizio di Dio.
                 Poiché  egli  e  re  grazie  a  un’usurpazione,  si  è  sforzato  di  essere  un  re  giusto,  e  un  re  cristiano.
                 Basterà questo al Signore? E fino a che punto è sincero Enrico? La sua preghiera non è dissimile da
                 quella  di  Claudio,  lo  zio  di  Amleto,  ben  altrimenti  colpevole: May  one  be  pardoned  and  retain  the
                 offence? Può un uomo aspirare al perdono, pur continuando a godere dei frutti della colpa?
            118 IV,  ii Beaumont  è  personaggio-fantasma:  non  parla  né  appare  altrove,  altro  che  nell’elenco  dei
                 caduti. Il Taylor lo elimina dalla didascalia, e sostituisce il Delfino col Duca di Borbone.
            119 IV, ii, 3 Il Delfino esorta il suo cavallo: “Fai vedere di cosa sei capace, sulla terra e sull’acqua”. −
                 “Come,  un  cavallo  di  aria  e  di  fuoco?”  ribatte  Orléans,  ricollegandosi  al  precedente  scambio  di
                 battute (III,  vii). Ciel! vale come interiezione (= Cieux!): il cielo è il regno dell’aria e del fuoco: “alla
                 conquista del cielo penseremo dopo”, sembra dire il Delfino, “per ora teniamo i piedi sulla terra”.
            120 IV,  ii,  53  La  vivida  descrizione  del  Signor  di  Grandpré  −  unico  intervento,  nel  dramma,  di  questo
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