Page 1745 - Shakespeare - Vol. 2
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vecchio re.

              84 III,  v,  64  L’ordine  del  Re  a  un  Delfino  recalcitrante  è  già  in  Holinshed.  È  Shakespeare  il  primo  a
                 disattenderlo,  facendo  partecipare  il  Delfino  alla  battaglia:  modificando  la  realtà  storica  al  fine  di
                 sottolineare, una volta ancora, l’irresponsabilità e disunione della leadership francese.

              85 III,  vi,  2  Il  ponte  di  Brangy,  sul  fiume  Ternoise,  nell’Artois,  a  poche  miglia  da  Agincourt,  fu
                 conquistato dagli inglesi il 23 ottobre, a due giorni dalla battaglia.

              86 III,  vi,  15  Fluellen  −  un  capitano  che  legge  i  classici  −  paragona  Pistola  a  Marcantonio:  lo  ha
                 effettivamente visto compiere atti di valore, o lo ha solo sentito far fuoco e fiamme? In ogni caso,
                 se ha preso un abbaglio, ci mette poco a ricredersi (vedi più sotto, 61-62: “Avete sentito che tuoni
                 e lampi?”).
              87 III,  vi,  28  La  capricciosa  Fortuna  è  oggetto  d’infinite  rappresentazioni  nell’arte  e  nell’emblematica
                 medievale e rinascimentale. Nell’eloquenza allitterativa di Pistola (Furious fickle wheel, rolling restless
                 stone) essa appare assisa su una ruota di pietra: allegoria di cui Fluellen, nel suo zelo didattico, si
                 sente in dovere di dare una spiegazione. Pistola fa poi il verso alla nota ballata Fortune,  my  foe,
                 Why dost thou frown on me? (“Nemica mia, perché mi guardi bieca?”). Ma la fortuna di Bardolfo
                 non è tanto cieca da non vedere un furto sacrilego: e il furto sacrilego è punito con la morte, cosa
                 che  Bardolfo  non  poteva  ignorare  (Enrico  aveva  dato  ordini  precisi  in  materia,  documentati  dagli
                 storici militari dell’epoca).
              88 III,  vi,  41  Cani  e  gatti  (e  altri  animali)  finivano  spesso  impiccati  per  i  loro  presunti  misfatti:  vedi
                 l’espressione hangdog look, rimasta nella lingua, per chi ha l’aria mogia di un cane impiccato.
              89 III, vi, 82 Gower aiuta quel dabben’uomo di Fluellen a vedere Pistola per quello che è. Tra la Guerra
                 dei  Cent’Anni  e  quella  delle  Rose  i  finti  reduci,  gli  eroi  da  osteria  e  quelli  che  poi  si  chiameranno
                 strateghi da caffè hanno proliferato, e la letteratura minore elisabettiana è piena delle loro vanterie e
                 imposture, e di cautionary tales che mettono in guardia gl’ingenui. “Il tal generale” è probabilmente il
                 Conte di Essex, che aveva messo di moda le barbe lunghe e squadrate.
              90 III, vi, 100 Fluellen intende dire, “le perdite”: l’inglese è per lui una seconda lingua, e se ne rendono
                 le improprietà con qualche errore di sintassi.
              91 III, vi, 108 Ai condannati si tagliava il naso, mettendoli alla gogna prima dell’esecuzione. Il nasone
                 paonazzo di Bardolfo, oggetto di tanti lazzi, viene executed ancor prima di lui.
              92 III, vi, 115 Enrico non batte ciglio, ripresentando − come già nella scena del ripudio di Falstaff − il
                 volto impersonale della giustizia. Le sue direttive sono ammirevoli, a maggior ragione in tempi in cui
                 le  truppe  di  passaggio  non  vanno  per  il  sottile.  Sono  anche  sistematicamente  applicate:  solo  una
                 ferrea  disciplina  può  tener  saldo  il  morale  di  un  esercito  duramente  provato,  senza  contare  che
                 anche i francesi vanno considerati sudditi di Enrico. Siamo già al concetto della war for hearts and
                 minds:  ci  si  batte  anche  per  conquistare  gli  animi  alla  causa  del  Re.  Ma  lo  spettatore  trattiene  il
                 respiro,  sperando  nella  grazia,  e  i  detrattori  di  Enrico  non  gli  perdonano  di  non  fare  eccezioni.
                 Dopotutto,  sostiene  il  Goddard,  Enrico  ha  incamerato  una  grossa  fetta  di  beni  ecclesiastici  per
                 dirottare sulla Francia il suo spirito di conquista, ovverossia di rapina. Bardolfo è impiccato per una
                 pisside, Enrico si appropria di una corona e diventa l’idolo della nazione. Bardolfo ha derubato una
                 chiesa, Enrico la Chiesa.

              93 III, vi, 116 Il costume di un araldo (tabard) è una tunica senza maniche con gli stemmi e le insegne
                 appropriate. Montjoy non è il nome di un nobile, ma il titolo dell’Araldo di Francia (dal grido di guerra,
                 «Montjoy St Denis!»). Egli si presenta senza i convenevoli di rito, con evidente insolenza.
              94 III, vi, 139 Il messaggio affidato a Montjoy è riferito con impeccabile eleganza: frasi ben bilanciate,
                 colpi che van dritto a segno. E anche un’illustrazione del principio secondo cui, in guerra, truth is the
                 first casualty (“la prima vittima è la verità”). Questa è l’altronde, come ogni guerra, una guerra di
                 propaganda e una guerra di nervi.
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